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Roma

La prima udienza a primavera del 2014. Dopo due anni e mezzo di processo le vacanze di Natale impongono un nuovo stop ad un giudizio che, nelle intenzioni della procura, doveva essere con “rito immediato”.

 


Prosegue lo scontro a puntate tra gli avvocati della difesa e il il piemme Alberto Galanti, in atto ormai fin dalle prime udienze di quello che sembrava dovesse essere, almeno nella volontà della Procura, il Processo con la P maiuscola, in grado di svelare il gigantesco disegno che per decenni aveva tenuto in scacco tutta la città di Roma impedendole di orientarsi verso la strada virtuosa e lecita della gestione moderna dei rifiuti. Un Processo che poi via via è andato riducendosi, fino a perdere del tutto la maiuscola. Quei testi su cui l’accusa aveva puntato le sue carte si sono, strada facendo, ridimensionati, soprattutto sotto i colpi assestati dai vari difensori e oggi hanno perso quella spinta propulsiva che sembrava dovesse caratterizzare in tempi rapidissimi l’evoluzione del processo.

A partire dal caso Ermolli, perno e cardine del teorema sostenuto dal piemme Galanti, secondo il quale il principale imputato, l’avvocatoManlio Cerroni, definito dominus e supremo dallo stesso pm, avrebbe costruito una fitta rete di rapporti in grado di condizionare a suo favore le scelte della pubblica amministrazione, al punto da pilotare nomine di suoi ex dipendenti (appunto Ermolli) nell’Arpa Lazio, per ammorbidirne il potere d controllo e di ispezione sugli impianti di proprietà del Supremo. Peccato però che la posizione di Ermolli sia stata quasi subito archiviata su richiesta della stessa Procura.

Altro teste chiave, anzi il cosiddetto “superteste” per mediare il linguaggio dai processi di mafia, era Fabio Altissimi. Imprenditore dei rifiuti di Aprilia, era stato considerato il principale accusatore del Grande Vecchio, colui che aveva anche registrato un colloquio con Cerroni per farne dono al piemme, e che si era sempre professato vittima sacrificale di una Regione asservita agli interessi del Supremo. Anche la posizione di Altissimi, sotto le picconate dei difensori, si è sgretolata. Altissimi non è sembrato vittima inserita nelle liste di proscrizione della Regione ma invece un imprenditore piuttosto presente in Regione al punto tale da avere riconosciute autorizzazioni e permessi in tempi da record a differenza di altri che hanno atteso, o attendono ancora da anni, autorizzazioni, permessi o, peggio ancora, semplici risposte. La demolizione di Altissimi ha trovato il suo clou nella ventottesima udienza del processo, che la stampa al seguito del processo ricorda per il “ko tecnico” del Pm, più volte colto su tutte le furie mentre la posizione del suo principale teste veniva ribaltata dalla dichiarazioni degli altri testimoni.
Ultima, ma non ultima, la deposizione del Prefetto Giuseppe Pecoraro, chiamato in causa in quanto Commissario per l’emergenza rifiuti, con il mandato di individuare, con la forza dei pieni poteri commissariali, uno o due siti per una discarica alternativa alla discarica di Malagrotta, prossima alla chiusura. Liscia e scorrevole la deposizione dell’ex Prefetto di Roma sotto la guida del Piemme, nella prima fase del dibattimento ma clima diverso quando la palla è passata ai difensori degli imputati e a quelli delle parti civili. Scontro acceso in particolare quando a fare le domande è stato Alessandro Diddi, difensore di Cerroni e “grande rivale” del PM Galanti in questo processo, con il quale non sono pochi gli scontri accesi spesso ripresi e bloccati dal Presidente Giuseppe Mezzofiore.

Le domande di Diddi hanno evidenziato un Pecoraro piuttosto immemore che ha fatto spesso ricorso ai “non ricordo”, “non mi risulta” “è passato del tempo”.
Alcuni non ricordo sono particolarmente evidenti. Per esempio le date di alcuni provvedimenti chiave del procedimento istruttorio che aveva il compito di trovare una discarica alternativa a Malagrotta togliendo Roma dallo spettro dell’emergenza rifiuti, ( quindi non un provvedimento qualsiasi), la successione di alcuni incontri con Ministeri vari, le prese di posizione negative di entità come l’Unesco, che si oppose ufficialmente alla scelta del sito di Corcolle, voluto dal Prefetto, perché troppo vicino a Villa Adriana.
Pecoraro non ha ricordato bene neanche i nomi di personaggi che condussero una vera e propria battaglia contro la scelta di Corcolle, come Urbano Barberini, nonostante i giornali del tempo, mentre Pecoraro ed i suoi consulenti erano in piena attività pro-Corcolle, riempivano pagine e pagine con le sue dichiarazioni e che, tra l’altro, aveva creato un movimento con alcuni tra i più famosi nomi dell’arte e dello spettacolo italiano ( Franca Valeri per dirne uno). Sfuggito alla memoria del Prefetto anche il nome di un altro aristocratico della vicenda, il principe Boncompagni Ludovisi, proprietario dell’altra area in esame per la futura discarica e cioè Quadro Alto ma ben presente nei certificati e nelle visure catastali consultate. Altro missing nella ricostruzione del Prefetto è il documento ufficiale con cui il Consiglio Superiore per i Beni Culturali del Mibac, presieduto al tempo da Andrea Carandini. Il Prefetto ne ignorava l’esistenza. Del documento e anche del Consiglio Superiore.
Black out totale anche per episodi di intimidazione che si verificarono quando, in piena protesta in difesa di Corcolle, ad alcuni viticultori dell’area, che si erano opposti alla scelta, vennero incendiati gli ulivi. La stampa ne riportò notizia ma evidentemente quegli articoli mancarono nella rassegna stampa del Prefetto Commissario.
Infine, Pecoraro, considerato uno dei grandi avversari di Cerroni (dichiarò, al momento delle dimissioni, che “avrebbe voluto spezzare il monopolio di Cerroni ma non ci riuscì), non ha conservato memoria di quando, in una riunione pubblica avvenuta nella sua prefettura il 19 dicembre del 2011, ringraziò pubblicamente l’avvocato dei rifiuti ed il suo Gruppo della disponibilità a recuperare in tempi record, ben 1280.000 mc di volumetrie all’interno del perimetro di Malagrotta, consentendo al Prefetto tempi più agili per fare le sue scelte e a Roma di non finire in emergenza. Pecoraro non ricordava né i ringraziamenti pubblici né tantomeno le volumetrie.

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