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Roma
Roma Capitale, la legge fantasma: la vogliono tutti ma non la vara nessuno

L’autonomia differenziata, voluta dalla Lega, è stata approvata da un ramo del Parlamento e il progetto di elezione diretta del capo del Governo, voluto dalla Meloni, ha iniziato il suo iter in commissione, mentre dei poteri per Roma Capitale non c’è traccia.

Tanto che le forze politiche sono corse ai ripari facendo approvare sia in Parlamento che in Campidoglio delle mozioni per auspicare che riparta l’iter legislativo per dare a Roma quei poteri che aspetta da 150 anni. La discussione sui poteri per Roma si è riaperta in alcune sedi istituzionali tranne che alla Pisana, come se la cosa non riguardasse la Regione Lazio, che invece è il principale attore della riforma.

I timori del Consiglio regionale del Lazio

Tutti i tentativi fatti sino ad oggi sono finiti su un binario morto, quasi come se si avesse timore a dare a Roma uno status speciale che aveva durante il fascismo con il Governatorato. Un ente dotato di piena autonomia amministrativa con il governatore della Capitale che rispondeva direttamente al Presidente del Consiglio.

La classe politica ha paura

Forse è proprio questo che ha in qualche modo intimorito le classi politiche per dare a Roma quell’assetto istituzionale che hanno tutte le Capitali europee. Dimenticando che durante la costituente il Governatorato fu difeso da Calamandrei, uno dei padri della patria e leader del partito d’Azione.

Nonostante anni di discussione vedo ancora che c’è una grande confusione sugli assetti della Capitale. Intanto diamo a Cesare quel è di Cesare. Il primo a lanciare la proposta di dare a Roma un assetto istituzionale di città Regione come Berlino, cioè una città dotata del potere legislativo proprio delle regioni, è stato il Presidente della regione Lazio Francesco Storace nel 2000. Prendendo spunto da Andrea Mondello. Fu la giunta Storace, della quale facevo parte, chiedendo l’assetto di Roma XXI Regione, a ottenere, nella trattativa in sede di Conferenza Stato-Regioni per il parere sul titolo V, l’inserimento dell’attuale comma 3 all’articolo 114: Roma è la Capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento. Prima nella Costituzione di Roma Capitale non c’era traccia.

La legge delega è un provvedimento inutile

Chiariamo poi che parlare ancora di legge delega significa non voler andare da nessuna parte. La legge delega già c’è, è quella sul federalismo fiscale del 2009, ma è stata in qualche modo un mezzo fallimento. E’ servita sì a far dare dallo Stato un modesto finanziamento annuale per le funzioni di Capitale e a far cambiare la carta intestata, ma ci fermiamo qui. Di poteri e funzioni speciali neanche l’ombra. No solo ma cancellò anche la legge su Roma Capitale degli anni 80’, che fu approvata su spinta del Psi di Craxi, norma che è stata l’unica che negli anni ha finanziato grandi lavori nella Capitale come l’Auditorium. La legge delega del 2009 è stata un fallimento perché partiva da un presupposto sbagliato, pensare di poter devolvere a Roma Capitale poteri amministrativi che per Costituzione stanno in capo alla Regione e non allo Stato, come tutte le materie di governo del territorio. E solo la Regione può devolvere queste competenze a Roma, non può essere lo Stato a farlo. Tanto è vero che quando in uno dei decreti legislativi fu previsto che a Roma era consentito l’accesso diretto al fondo del trasporto pubblico locale, senza passare attraverso l’intesa con la Regione, bastò che la Presidente Polverini, dello stesso colore politico del governo nazionale e del sindaco Alemanno, minacciasse un ricorso alla Corte Costituzionale per indurre il Governo a modificare il decreto. E questo a Palazzo Chigi lo sanno benissimo.

Così come un fallimento è stata la istituzione della Città Metropolitana con la Legge Del Rio.

Roma è Città Metropolitana dal 2014 ma oggi ha meno competenze della vecchia Provincia e nessuno sa cosa sia questo nuovo ente e di cosa si occupi. Tutto questo per dire che se si vuole affrontare seriamente la questione di dare poteri a Roma bisogna scegliere la strada della legge costituzionale.

Alla fine della scorsa legislatura arrivò in aula un testo bipartisan, che non fu discusso e approvato per la fine anticipata della legislatura, che andava nella direzione giusta di dare poterei legislativi a Roma ma poneva un serio problema Istituzionale. Perché non disegnava Roma Regione come un ente a sé ma all’interno della stessa Regione Lazio. Una specie di ircocervo.

La norma costituzionale disponeva di assegnare competenze legislative a Roma Capitale nell’ambito delle materie concorrenti e residuali dell’art. 117 del titolo V, ad eccezione della sanità, individuate con lo Statuto speciale di Roma approvato dai due terzi dell’assemblea capitolina, sentita la Regione Lazio. Inoltre la legge dello Stato, sentite la Regione e Roma, avrebbe definito le norme di attuazione.Roma Capitale dunque non diventa Regione ma resta Comune, anche se con poteri legislativi in alcune materie, e allo stesso tempo Città Metropolitana. Due enti con un unico Sindaco ma con un territorio, quello del comune, sul quale vigono le norme stabilite dalla Capitale e sull’altro, quello dell’ex Provincia, quelle della Regione. Roma Capitale legifera sul territorio dell’ex comune mentre ha solo poteri amministrativi sul territorio dell’ex provincia. La Regione Lazio resta unica con Roma Capitale dentro che legifera sul proprio territorio.

Il paradosso della Regione che ha in pancia Roma

Il Consiglio Regionale sarà unico con gli eletti di Roma, che sono la maggioranza, che legifereranno sul resto del territorio senza Roma. Insomma Roma legifererebbe sul proprio territorio, con l’assemblea capitolina, e sul resto del territorio regionale con il Consiglio Regionale del Lazio.

A quel punto la Regione di fatto non esisterebbe più e comunque si creerebbe crea uno squilibrio istituzionale senza precedenti. Per questo sconsiglio di ripartire nella discussione da quel testo. Meglio una norma secca per Roma XXI Regione o, in alternativa, un assetto istituzionale come Trento e Bolzano. Tertium non datur.







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