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Roma
Sanità, il Lazio esce da una catastrofe: la terapia dei medici di famiglia

Sanità, avviare una discussione sulla riorganizzazione della medicina territoriale e superare la dicotomia tra ospedale e territorio. Questo il senso dell'incontro che si è svolto presso la sede dell'Agenas nei giorni scorsi che pone le basi di una riorganizzazione del settore.

 

Ne abbiamo parlato con Pierluigi Bartoletti vicesegretario nazionale e segretario romano della Fimmg, il maggiore sindacato italiano dei medici di medicina generale.


Bartoletti, lo scorso venerdì, all’Agenas, si è svolto un incontro per definire una proposta concreta di collegamento tra ospedale e territorio. Quali sono gli obiettivi?
“La situazione è la stessa del 1999, con l’aggravante che in questo lungo periodo la rete ospedaliera è stata largamente rimaneggiata mentre sul vasto continente della sanità territoriale si è andati in ordine sparso, regione per regione. Ognuno con il suo progetto. Gli effetti di questa situazione sono i Pronto soccorso sempre al limite del collasso, le liste d’attesa troppo lunghe, l’assistenza domiciliare che fatica a seguire i malati. Ma, l’effetto più evidente è l’aumento della spesa a carico dei cittadini, delle famiglie, la cosiddetta spesa “out of pocket”, ovvero di tasca propria. Oggi, in molte realtà, è un obbligo. Così non va bene. L’incontro rappresenta un importante segnale di attenzione e  un importante presa d’atto di un problema che rischia di diventare esplosivo”.

Allo stato attuale i due sistemi sono isole non collegate, come costruire i ponti?
“Diciamo che l’ospedale è il continente, il territorio un’isola che man mano si è allontanata. Bisogna curare i “trasporti”, per evitare che i cittadini e le loro famiglie siano costretti a raggiungere a nuoto un punto e l’altro. I “traghetti” sono percorsi di presa in carico, disponibilità di agende per le prime visite, sia da parte del pubblico sia del privato, procedure per la dimissione protetta e per l’accettazione assistita. Oggi un cittadino che ha un problema è spesso lasciato solo. Si rivolge al proprio medico di famiglia che una volta individuato il problema non può far altro che consigliare di rivolgersi ad un centro di riferimento per la patologia. E qui siamo nel campo dell’imponderabile: se si trova un appuntamento in tempi ragionevoli si risolve il problema, in caso contrario si deve cambiare centro o pagare. Costruire il collegamento significa affiancare il cittadino nel percorso di cura”.

Nel Lazio come è la situazione, cosa si sta facendo e quali sono le proposte in campo?
“Il Lazio sta uscendo da una catastrofe contabile, ne esce con una rete ospedaliera pubblica rimaneggiata, soprattutto nelle province. I dati della mobilità dicono che se prima attraeva sanità dal Mediterraneo, oggi sconta una pesante migrazione extra-regionale verso la Lombardia, l’Emilia, la Toscana e l’estero. Croniche le carenze sul fronte dell’assistenza domiciliare, pesanti i tempi di attesa. Migliora la situazione sul numero di accessi ai Pronto soccorso perché è stato fatto un investimento sulla medicina generale. Oggi siamo gli unici che in Italia dispongono di una rete della medicina generale attiva 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno. Ma siamo ancora ai primi passi: i PDTA (Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali) per la presa in carico sono fermi, mancano sinergie con i distretti, la collaborazione ospedale territorio si limita ad isole felici. Bisogna cambiare passo, scommettere sulla professionalità e voglia di cambiare degli operatori pubblici. Bisogna proporre ricette nuove attuare percorsi di presa in carico, percorsi di accettazione e dimissione assistita, semplificazione burocratica. Manca forse un po’ di coraggio nel rompere vecchi schemi, nel superare le logiche di categoria ed entrare in logiche di sistema. La politica può fare molto nel chiamare a raccolta chi vuole migliorare, così come si è fatto sinora nel portare la regione fuori dalle secche del piano di rientro”.

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