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Roma
Sanità, la Regione Lazio fa dietrofront: cure private sì ma col contagocce

di Donato Robilotta

Sanità, un passo indietro nella Regione Lazio dove le strutture private per essere autorizzate sono soggette a verifica rispetto al fabbisogno di assistenza sanitaria.

Infatti, nel collegato normativo all’assestamento di bilancio, che la competente commissione sta esaminando alla Pisana, la giunta Zingaretti ha deciso di reintrodurre la verifica di compatibilità rispetto al fabbisogno di assistenza sanitaria per la richiesta di autorizzazione a realizzare, trasformare, ampliare e trasferire strutture sanitarie private.

Una decisione che sta facendo protestare tutto il mondo della sanità privata e che non si comprende dal momento che queste strutture sono svincolate dal fondo sanitario regionale e dunque non hanno attinenza con il fabbisogno, nel quale rientrano invece quelle accreditate.

La ratio del fabbisogno è quella di tenere sotto controllo la spesa sanitaria ed evitare che il disavanzo riprenda a salire. Ma da questo punto di vista le strutture sanitarie private non solo non incidono sulla spesa ma la possono abbassare perché allargano e diversificano l’offerta, e dunque possono avere un effetto positivo.

La Regione, amministrazione Zingaretti, con la legge regionale 7 del 2014 ha modificato la lr 4 del 2013 ed ha eliminato la verifica di compatibilità al fabbisogno di assistenza per le richieste di strutture sanitarie private. Ora la stessa giunta vuole cancellare quanto deciso nel 2014 e rispristinare la vecchia norma che prevedeva la compatibilità al fabbisogno.

Questo perché pressata dal tavolo tecnico ministeriale per la verifica dei livelli essenziali di assistenza che ritiene l’attuale normativa regionale in contrasto con le norme statali di cui al d.lgs n.502 del 1992, tenuto conto dell’art. 117 comma 3 della Costituzione. E pone la modifica come necessaria per l’uscita della Regione dal commissariamento.

Se l’attuale normativa regionale del 2014 fosse stata in contrasto con il d.lgs 502/1992, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, il Ministero della Sanità avrebbe dovuto impugnare la normativa ma non lo ha fatto. Ed a ragione.

Infatti oggi a Costituzione vigente la tutela della salute è materia concorrente e spetta allo Regione la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione statale.

Quelle di cui parliamo sono norme di dettaglio che non rientrano nella determinazione dei principi fondamentali.

Nel merito è intervenuto anche il Consiglio di Stato che con sentenza 550 del 2013 ha sostenuto che “la verifica di compatibilità regionale in materia di rilascio di autorizzazioni non può risolversi in uno strumento ablatorio delle prerogative dei soggetti che intendono offrire, in regime privatistico, mezzi e strumenti di diagnosi e di assistenza sul territorio”.

Anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM n. 13/2013) ha stabilito che una politica di contenimento dell’offerta sanitaria rischia di tradursi in una posizione di privilegio degli operatori del settore già presenti nel mercato, che possono incrementare la loro offerta a discapito dei nuovi entranti, assorbendo la potenzialità della domanda, e dunque in aperto contrasto con la disciplina di liberalizzazione di recente introdotta.

Proprio questi interventi portarono la giunta Zingaretti a intervenire con una norma nel 2014.

Mi auguro che la commissione bilancio sappia utilizzare queste ragioni per convincere la giunta a ritirare o a bocciare una proposta che rischia di creare un grave danno al settore della sanità privata e di limitare fortemente il diritto e la libertà di cura dei cittadini.

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