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Roma
Schiavi di smartphone e social: il 50% dei giovani è dipendente. Indagine choc

di Massimiliano Martinelli

Nomofobia, fomo e vamping: le nuove fobie legate al web e alla tecnologia. Otto ragazzi su dieci tra i 15 e i 20 non possono stare senza controllare il telefono per più di tre ore.

 

Nuove tecnologie, opportunità o trappola? Comodità o dipendenza? Alienati, compulsivi e a tratti schiavi del web, l'Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, Gap e Cyberbullismo, Di.Te., lancia l'allarme e cerca le prime risposte ad una nuova emergenza, che colpisce indistintamente giovani ed adulti. In vista della prima Giornata Nazionale sulle Dipendenze tecnologiche e cyberbullismo, in programma sabato 2 dicembre, l'associazione ha infatti presentato presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati un sondaggio condotto su oltre 500 persone, equamente suddivise tra uomini e donne, che mette in evidenza l'uso scorretto della tecnologia e le sue conseguenze. Al centro del dibattito ci sono dipendenze poco conosciute ma molto pericolose come la Nomofobia, la paura non di non avere con sé il cellulare e di non poterlo controllare. Poi ancora la Fomo, ovvero la paura di essere tagliati fuori da qualcosa, o il vamping; la tendenza a restare connessi tutta la notte sui social. Fenomeni e compulsioni legate al web, che tengono le persone incollate a strumenti digitali, smartphone in primis, fino a compromettere le proprie relazioni. Il sondaggio online rivela infatti come il 51% dei ragazzi tra i 15 e i 20 anni abbia difficoltà a prendersi una pausa dalle nuove tecnologie, ammettendo nel 79% dei casi di non riuscire a prendere una pausa di 3 ore della smartphone. Device, in media, controllato 75 volte al giorno, con punte di 110 volte al giorno nel 7% dei casi. A poca distanza dai più giovani inseguono però gli adulti, con il 49% degli over 35 incapace di stare senza cellulare e bisognoso di controllare notifiche o messaggi almeno 43 volte al giorno. Il 6% di loro poi arriva a sfiorare le 65 volte, con più della metà, il 58%, che di stare 3 ore senza buttare un occhio sullo schermo non ne vuole sapere. Una novità assoluta che commenta per noi Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell'associazione Di.Te.: ”La cosa più interessante, è come sia emersa quasi un'assenza di differenze tra adulti e adolescenti. I più giovani sono più consapevoli ed abituati, sono nati in questo contesto, gli adulti meno, ma entrambi hanno grosse difficoltà a prendersi una pausa dalle nuove tecnologie. In affanno quindi la fascia minore e quella maggiore di età, più facilitata quella di mezzo. Differenze di genere? Crescendo con l'età, dopo i 40 anni, aumenta il numero degli uomini rispetto alle donne”.

Numeri spaventosi, che lo diventano ancora di più se si pensa che nel Lazio le percentuali crescono del 5% rispetto al livello nazionale. Difficoltà tipiche del nuovo millennio, che, attraverso nuovi mezzi, ci apre un mondo ricco di opportunità come di nevrosi e patologie. Caso emblematico quello dei Hikikomori, in giapponese “stare in disparte”, un fenomeno che vede giovani scegliere la via dell'isolamento e della reclusione, barricati all'interno della propria casa senza famiglia, scuola e lavoro. Gli ultimi anni hanno visto una diffusione del fenomeno degli Hikikomi nei paesi europei, compresa l’Italia. E, nonostante non siano disponibili dati certi sul fenomeno nel nostro Paese, secondo alcune stime non ufficiali il numero di giovani coinvolti sarebbe tra i 30mila e i 50mila. “Quando c’è un’alterazione delle abilità relazionali e sociali bisogna fermarsi e interrogarsi su cosa ci sta succedendo. Rischioso è l’isolamento sociale, quando si arriva all’alienazione fino a diventare Hikikomori, rinchiusi nella propria stanza rifiutando la scuola e ogni contatto che non preveda l’uso mediato del mezzo tecnologico - continua Giuseppe Lavenia, Presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te. - I giovani 3.0 sono molto più impulsivi, hanno grande difficoltà a gestire la noia, e sono orientati al tutto e subito. Sono meno creativi, non sentono il bisogno di verificare le fonti da cui traggono notizie o a fare ricerche per controllare se quello che hanno letto è vero. Dobbiamo osservarli oggi e non fare proiezioni catastrofiche sul futuro, possiamo fare molto per loro, ma a partire da oggi, dal presente. Stiamo andando verso un’identità digitale e la costruzione della loro personalità avviene anche in base all’uso che fanno della rete”.

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