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Roma
Siamo tutti malati di social e selfie dipendenti. “Ma è una vita ritoccata”

di Titta Poli

Nevrotici malati e ossessionati dalla propria immagine, star multimediali illusi di aver raggiunto l'onnipotenza, in realtà schiavi del proprio ruolo apparente, gioiosamente privati della propria libertà.

 

A dipingere l'identikit dell'uomo ultra moderno è Giovanni Pacini, un giovanissimo studioso, studente 21enne al terzo anno di filosofia, appassionato di “estetica” e osservatore di rara sensibilità. Lo fa in un breve saggio, “Iconomania. Selfie-nevrosi e ascesa del Social Narciso”, edito da Kepler Edizioni, un pamphlet filosofico delizioso che tutti dovrebbero leggere e gustare per capire qualcosa di più sulle manie virtuali divenute ormai prassi quotidiana, anzi vera e propria necessità esistenziale.

Come nasce il concetto alla base di questo saggio?

“Le idee che ho espresso nel saggio sono il frutto di un lavoro progressivo con me stesso. In un primo momento ho sviluppato l'idea che mi sono fatto di uno stato di mediocrità che permea la società moderna, ma dovevo capire quale fosse la causa. La lampadina mi è accesa leggendo il primo volume de L'uomo antiquato di Günther Anders, ma rispetto agli anni Cinquanta e allo scenario lì descritto c'è stato un cambio radicale. Ormai radio e tv sono mezzi obsoleti, l'elemento innovativo della società contemporanea è rappresentato dai social media. Osservando la realtà ho notato quanto questa eccessiva dipendenza generasse questo stato di mediocrità, nel senso che non c'è più un contatto diretto col mondo, ma un contatto mediato da un mondo multimediale che è quello dei social media, che rappresenta il mondo reale in maniera ritagliata, rimodellata, ritoccata e ricostruita, ovvero “percepiamo fantasmi”. Il mondo ritagliato getta l'uomo nell'esigenza di immediatezza, tutto deve essere compreso nell'immediato, non c'è più uno stimolo contemplativo di raccoglimento nei confronti dei problemi della vita. La sua creatività viene meno perché tutto gli è dato nell'immediato dal web”.

Perché il titolo “Iconomania”?

“Perché il mezzo con cui i social media comunicano è l'immagine, dietro all'innocenza dell'immagine o di una semplice foto, di celano dinamiche inconsapevoli di cui l'uomo non si rende conto”.

Lei naturalmente ha un profilo su facebook o su twitter?

“Sono iscritto perché è impossibile criticare una dimensione di cui non si è partecipe, ma sono una presenza tacita, diciamo così”.

Nel suo saggio scrive: “Il social media ha accolto l'esigenza dell'uomo comune, lo ha estratto gradualmente dallo stato di mondana minorità in cui riversava, innalzandolo dall'opprimente anonimato. Grazie alla possibilità di farsi immagine l'uomo può mostrare le "proprie forme e i proprio colori" all'intero mondo. Dallo straziante isolamento e dalla nociva invidia per la fama altrui, il social media ha reso chi più chi meno una star.” Mi dica, siamo tutti un po' malati?

“Diciamo che siamo tutti un po' schiavi di noi stessi nel momento in cui condividiamo noi stessi sui social media, perché anche inconsapevolmente o innocentemente sentiamo l'esigenza di essere apprezzati, vogliamo il like, il commento, un interesse nei nostri confronti. Chi ottiene tanti gradimenti si sente più potente rispetto ad altri, una star. La grandezza dei social sta nel fatto di aver permesso in potenza a tutti di diventare famosi, ma nessuno si rende conto che quella potenza termina all'interno del social media stesso e, quando si rientra nel mondo reale, quella potenza scompare”.

In “Iconomania” compare la figura del “social narciso”, ma chi è costui?

“Il social narciso è una persona che ama se stesso ma non più riflesso in uno specchio d'acqua come il personaggio del mito, bensì in uno specchio creato da cristalli liquidi per mantenere l'effetto fluido; è una persona che in forza del proprio narcisismo sente l'esigenza di esibirsi, di ottenere potenza e di per sè è vanitoso. Ama guardarsi in un display ed essere apprezzato. Ma non è il narciso classico che ama le sue belle forme, il social narciso ama se stesso però “ritoccato”, mutato nella propria fisionomia grazie alle app fotografiche dei telefoni che modificano ciò che per i canoni moderni non è perfetto”.

Senta, ma lei si rende contro di essere un po' diverso dai suo coetanei? Non le sembra strano alla sua età fare questi ragionamenti?

“In generale fin da quando ero più piccolo sono stato una mosca bianca: i miei gusti musicali e letterali sono sempre stati in in controtendenza rispetto ai ragazzi della mia età. Io leggo solo di filosofa, amo Hermann Hesse, ascolto musica anni Sessanta. Eppure mi vedo e mi sento un membro della mia generazione e proprio per questo credo sia giusto criticarla e decostruirla se al suo interno si colgono delle falle e degli errori”.

Giovanni, cosa vorrebbe dare da grande?

“Sogno di fare la carriere universitaria e diventare docente di estetica”

Perché proprio estetica?

“Quando ho iniziato gli studi pensavo di volermi dedicare alla filosofia morale, influenzato soprattutto da Nietzsche, poi quando ho studiato “La critica della facoltà di giudizio” di Kant e il professore l'ha messo in relazione alla fotografia e all'immagine nella società contemporanea, il connubio mi ha stregato. Sono amante della storia dell'arte, e ho trovato un legame su quel filone che mi ha rapito”.

Dica la verità, prova un po' di pena o di tenerezza quando vede gli utenti di fb o di Instagramm scatenarsi con foto, commenti, sfoghi ed elucubrazioni mentali alla ricerca di un like?

“Nè tenerezza né pena, lo trovo sciocco che si passi il tempo a attendere like, perché si potrebbe impiegare quel tempo in modo più costruttivo. Insomma mi rammarico per lui”.

C'è ancora una speranza di cambiamento? Di tornare al mondo reale?

“Penso di sì, nel momento in cui c'è la possibilità di un lavoro generale di sensibilizzazione, e di disintossicazione, continua ad esserci una speranza. L'uomo ha sempre vissuto a contatto con il mondo, il social media come strumento è estremamente frivolo, impostato sul divertimento momentaneo: alla fine si tratta di un ausilio esistenziale che può essere sostituito in maniera agevole nel momento in cui viene messo in contrasto con qualcosa di più efficacie come è il mondo stesso. L'uomo può fuoriuscire dalla dipendenza nel momento in cui riscopre le grandezze e le potenze naturali”.

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