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Roma
Trudeau ad Amatrice: l'abbraccio e l'amatriciana. Pirozzi: “Ripartiamo”

di Diana Maltagliati


AMATRICE - Raggiungere Amatrice è una vera fatica. Lo è stato per me, in macchina, che dopo una mezz'ora di strada in mezzo a vallate verdi mi sono ritrovata a fiancheggiare le case distrutte dal terremoto di agosto. E lo è stato per Justin Trudeau, il Primo Ministro canadese, nonostante gli sia stato concesso di atterrare all'eliporto a un chilometro di distanza dalla zona rossa. La fatica nel raggiungere Amatrice, infatti, non sta nella strada stretta e piena di curve, ma nella difficoltà di affrontare ciò che non puoi essere pronto a vedere, nemmeno dopo un milione di servizi ai TG.


E il mio stesso sconforto l'ho letto negli occhi di Trudeau, appena sceso dalla macchina. Era visibilmente commosso ed era chiaro come gli occhi lucidi non fossero affatto un gioco mediatico, a favore delle telecamere che lo attendevano da ore.

Il suo elicottero è rimasto sospeso sopra le nostre teste a lungo, certamente più del tempo necessario per atterrare. Di sicuro Trudeau ha chiesto di poter vedere tutta la desolazione di quella vallata dall'alto e non ha sfruttato l'elicottero solo come un comodo mezzo di trasporto.
Ad aspettarlo, all'inizio dell'unica strada accessibile nel paese distrutto dal sisma, il sindaco gladiatore, Sergio Pirozzi. Dopo pochi passi l'incontro. Uno scambio di sguardi, nessuna parola e un abbraccio. Di quelli veri, che servono a sostenersi a vicenda e a darsi forza. E il sindaco di Amatrice di forza ne ha da vendere. È una roccia, una montagna, come quelle che circondano il suo paese e di cui parla con tenerezza: “Sono rimaste in piedi solo loro, sono il nostro futuro”, mi racconta.

Pirozzi cammina vicino alla traduttrice, ma sembra non averne bisogno. Quei due si capiscono al volo e forse non saprebbero nemmeno cosa dire. Stanno per entrare nella zona rossa, il silenzio in rispetto per le vittime è più importante di qualsiasi parola.
La situazione di Amatrice, Trudeau se l'era fatta spiegare da Pirozzi dieci giorni prima, a Toronto, quando il sindaco lo aveva raggiunto per raccontargli del suo paese e della sua comunità. Un'identificazione profonda, la sua, che si legge ogni volta che appare davanti alle telecamere, indossando con orgoglio le felpe che a caratteri cubitali riportano un solo nome: Amatrice. Una felpa uguale Pirozzi l'ha portata a Trudeau, in Canada, strappandogli la promessa di ricambiare la visita.

E Trudeau a quanto pare le promesse le mantiene. Ad accompagnarlo, sua moglie Sophie Grégoire, che lo ha aiutato a sorreggere il mazzo di fiori destinato al memoriale delle vittime e a deporlo ai piedi della stele. In paese tanta polizia e alcuni amatriciani. “Mister Trudeau! Welcome mister Trudeau”, hanno urlato mentre passava di fronte a loro. Il Primo Ministro si è voltato, ha capito di chi si trattava e si è avvicinato per una stretta di mano, un sorriso, una parola, come a dire: io sono qui per voi.
Il sindaco ci ha tenuto a dare alla delegazione canadese anche un assaggio di quello che il paese era in passato e mira a ritornare ad essere in futuro: una splendida terra invidiata, tra le altre cose, per la propria cultura gastronomica. Trudeau e la moglie sono stati invitati a mangiare la classica amatriciana in mezzo alla gente del posto, al tavolo coi volontari della protezione civile che dal 24 di agosto lavorano per riportare Amatrice a splendere. Davanti ai piatti tipici il dolore ha lasciato lo spazio ai sorrisi e agli incoraggiamenti. Anche i giornalisti sono stati invitati ad accedere alla sala, ma da lontano e compostamente, come gli altri commensali.
Una visita breve, che però ha lasciato il segno e che anticipa aiuti più concreti da parte dei canadesi. A Toronto Trudeau ha infatti annunciato che verranno stanziati due milioni di dollari per incominciare la ricostruzione.
Pirozzi è concreto: quegli aiuti rimetteranno in piedi l'edificio del municipio e cominciando da quel fulcro la comunità potrà ripartire.

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