Pillole d'Europa

di Cinzia Boschiero

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Pillole d'Europa
Start up innovative in Italia e in Europa
Prof. Paolo Milani

di Cinzia Boschiero

“Il nostro Paese offre ancora tantissime opportunità” dice il prof. Paolo Milani, Professore Ordinario di Struttura della Materia presso il Dipartimento di Fisica dell'Università di Milano e Direttore del Centro Interdisciplinare Materiali e Interfacce Nanostrutturati,“ certo stare qui a volte è più complicato, ma lavorare e vivere in Italia ha un valore aggiunto più alto rispetto ad altre nazioni. Ai nostri giovani è giusto dire di avere il coraggio di restare. Occorre che a livello istituzionale si fermi questo flusso di gente che se ne va fuori Italia perché sono talenti che rappresentano il nostro presente e il nostro futuro come Paese. Con meno fondi che in altri Stati, comunque noi, ci tengo a dirlo, in Italia, realizziamo progetti di ricerca di altissima qualità. <ad esempio il Dipartimento di Fisica della Statale di Milano è sede di numerose attività di ricerca in vari settori della Fisica fondamentale e applicata quali Astrofisica, Fisica Teorica, Nanotecnologie, Ottica, Fisica delle Particelle, del Nucleo, della Materia Condensata e dei Plasmi, Fisica degli Acceleratori, dei Sistemi Complessi, dell’Ambiente, dei Beni Culturali e Fisica Medica. Presso il Dipartimento è il coordinamento della prima rete di infrastrutture condivise nelle nanoscienze NFFA-Europe, l’infrastruttura di ricerca finanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma Horizon 2020.

Domanda: Cos’è il progetto FutureNanoNeeds?

Risposta: E’ un progetto del Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico, finanziato dalla Commissione europea. Dura quattro anni, dal primo gennaio 2014 al 31 dicembre 2017. I partner di progetto sono 23 di cui due italiani, noi e l’Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri. Sviluppiamo un framework per attivare denominazione, classificazione, rischio e valutazione dell'impatto ambientale dei nanomateriali di prossima generazione prima del loro utilizzo molto diffuso a livello industriale. Si tratta di realizzare quindi una nuova classificazione molto articolata e mai realizzata sinora perché non esistono ad oggi metodi di classificazione delle nanoparticelle e del loro effetto tossico. Potremo così creare dei nuovi protocolli quantitativi e qualitativi sugli effetti biologici molto utili in vari settori dall’agricoltura, all’energia, alle costruzioni; e fare uno screening di potenziali impatti dei nanomateriali in tutte le fasi del loro ciclo di vita.

Domanda: Lei ha contribuito a fondare la start-up WISE, di cosa si tratta?

Risposta: WISE, vincitrice del Bocconi Award in occasione del primo Bocconi Start-Up Day, è una start-up fondata nel 2011 da un team di fisici provenienti dal nostro Dipartimento e da un business angel. La start-up è proprietaria di una tecnologia, ad oggi unica in termini di qualità e innovatività, in grado di produrre elettrodi per la diagnosi e cura di malattie neurologiche e del dolore cronico. Dopo un inizio in salita, che ha messo a dura prova la società e il team stesso, WISE ha ricevuto importanti finanziamenti da fondi sia italiani sia stranieri ed oggi uno dei suoi soci è un fondo di investimento tedesco, tanto è vero che WISE ha una sede anche a Berlino. Nei prossimi tre anni, WISE punta a entrare nel mercato con elettrodi che verranno applicati sulla corteccia cerebrale e nel midollo spinale. WISE sviluppa, tra l’altro, elettrodi per il monitoraggio e la stimolazione di segnali elettrici sulla corteccia cerebrale. Grazie alla tecnologia proprietaria, gli elettrodi corticali di WISE sono estremamente conformabili, leggeri, progettabili con grande libertà.

Domanda: avete anche altri progetti? Cosa consiglierebbe ad un giovane oggi?

Risposta: Certo, ne abbiamo molti presentati per Horizon 2020 e abbiamo vinto di recente anche un bando Marie Curie. Ai giovani consiglierei di approfondire le materie scientifiche perché sono quelle che offrono più possibilità di impiego. Ribadisco ciò che io stesso ripeto ai miei studenti, -che peraltro mando all’estero per fare delle esperienze di stage o di studio-, di focalizzarsi sulla nostra Italia, di non abbandonarla, ma di restare e avere fiducia nel fatto che ognuno di noi dando del suo meglio può cambiare la situazione odierna. Andare all’estero può sembrare oggi una via di uscita positiva, anche comoda a volte, perché pare essere più facile trovare un lavoro fuori dal nostro Paese eppure a lungo termine non li renderà felici. Serve una scelta culturale di comunità. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, come cittadino, come lavoratore e dare il massimo a livello personale e a livello collettivo. Il nostro Dipartimento dopotutto vanta un premio Nobel quale Riccardo Giacconi, e poi ad esempio Fabiola Gianotti, ora a capo del CERN, è uscita proprio da qui come formazione. I nostri dottorandi sono scelti subito da enti esteri per la loro preparazione, ciò indica che siamo al top e che possiamo farcela anche rimanendo in Italia. Io stesso sono stato all’estero, ma poi sono tornato in Italia. Tornare non è facile, quindi è quasi meglio non partire e lottare da subito qui per trovare i propri spazi e pretendere dalle piccole cose alle più importanti. Ad oggi ad esempio non è che i nostri dottorandi siano pagati molto meno rispetto ad altri Stati europei, quali la Francia, solo che da noi non hanno sufficienti agevolazioni come negli altri Paesi (mensa, trasporti, alloggi agevolati). Quindi occorro scelte semplici, ma che rispondano realmente ai bisogni concreti dei cittadini anche a livello istituzionale.

Domanda: Lei ha lavorato presso Fondazione Filarete. Cosa ne pensa della miriade di spazi di co-working e di start up che stanno aprendosi come funghi in tutta Italia? Non è che molte sono mere speculazioni edilizie, ristrutturazioni di immobili industriali, e non forniscono adeguata assistenza ai giovani?

Risposta: occorrerebbe un monitoraggio, una selezione, un controllo di qualità per evitare di illudere i nostri talenti. Le idee ci sono. I fondi meno, pertanto disperderli in mille rivoli non ha senso, sarebbe meglio creare meno Poli, ma più strutturati e non solo con postazioni Internet e tavolini, ma anche con laboratori attrezzati, e selezionare le start up per ambiti di ricerca, premiare solo le più meritevoli qualitativamente su cui andare a focalizzare le energie di supporto. In Italia non c’è una vocazione all’investire in tecnologia innovativa, una cultura vera su come sviluppare in modo adeguato le start up. Gli investimenti in start up in Italia sono ad oggi ancora trascurabili, rispetto a quanto avviene all’estero, i numeri parlano da soli, solo pochissime start up hanno avuto un aumento di capitale dopo il primo anno e mezzo di vita. Dati che confermano la nostra inadeguatezza di sistema a favore delle start up a cui occorre subito porre rimedio.                     

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