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Welfare salute e comunicazione
La donna non è un apribottiglia



Di Antonella Gramigna*


Solo una immagine, certamente si. Ma non esiste naturalità in una immagine, essa ha un contenuto che come tale viene percepito, arriva dentro nel profondo.
L'impatto mediatico di un messaggio pubblicitario, che per arrivare a destinazione ed a seconda di chi vuole coinvolgere arriva sempre più spesso a ricorrere alla trasgressione ed alle immagini forti, ha sicuramente i suoi effetti.
La comunicazione che si usa, cioè il " tipo" di comunicazione, è quella che crea la differenza. Il messaggio pubblicitario, in effetti, ricorda le immagini della nostra vita ed allo stesso tempo fornisce uno scambio di informazioni, ma è altresì veicolo subliminale di contenuti simbolici e valoriali che passano attraverso un canale non visibile ma di grande importanza : le emozioni.
Il caso dell'ultimo spot realizzato da una nota marca di bibite ha sollevato non poche polemiche.
Il messaggio video realizzato racchiude in se la fantasia di un rapporto sessuale orale con finale di fuoriuscita della bibita.
Usare simboli ed immagini legati all'ambito sessuale è da sempre utilizzo della pubblicità, il sesso ed il corpo veicola molte emozioni , quindi più facilmente assimilabili interiormente.
Le emozioni ci condizionano, da sempre, quindi ciò che ad esse viene legato, che sia un profumo, un cibo, un quadro, una vetrina, rimane impressa molto più di altro che non passa attraverso esse.
Ciò che di pratico possiamo dimostrare è la scelta di un prodotto nei banchi dei supermercati, spesso ci dirigiamo diretti a ciò che ci richiama la mente ed il cuore. Se poi , però, ci fermiamo a riflettere, siamo capaci anche di cambiare prodotto.
Tornando alla pubblicità di cui parlavo, quello che mi indigna non è tanto l'atto sessuale immaginato( dato che non si vede interamente ma si da molto spazio alla fantasia),ma l'uso che si fa di un ambito intimo e che vede, ancora una volta, la donna come attrice principale dell'atto, e l'uomo che ne gode. Ancora una volta la  donna sottomessa ed oggetto; la donna relegata sempre in offerta di sé, con relativa immagine finale di grande soddisfazione dell'aver permesso alla "bottiglia" di fuoriuscire la preziosa bevanda.
 
Come contrastare la pubblicità sessista? 
Esiste  Il Manifesto Deontologico dei creativi pubblicitari.  Nel 2011 l'adci, il club dei creativi pubblicitari, pubblica un Manifesto deontologico che invita tutti gli addetti ai lavori a progettare campagne non volgari, appropriate e rispettose. Che non rafforzino stereotipi e cliché arretrati e dannosi. Che non usino il corpo come oggetto sessuale da abbinare ai prodotti in modo pretestuoso. È un passo importante ma, ovviamente, non basta: l'adci rappresenta un gruppo di creativi, non l'intero sistema pubblicitario italiano. Può incoraggiare e premiare la buona pubblicità, ma non può  punire quella cattiva.
La pubblicità sessista non riguarda solo i corpi nudi. È sopratutto quella che riduce le donne a pochi stereotipi ricorrenti e impoveriti: le donne pubblicitarie sorridenti con la zuppiera o il detersivo in mano, quindi relegate al ruolo di casalinga,  sono tanto uguali tra loro quanto le donne pubblicitarie sexy e seminude. Dietro ogni campagna pubblicitaria lavorano tanti responsabili: singoli professionisti, persone che lavorano nelle agenzie e nelle aziende, fotografi e registi, tutti con l'unico obbiettivo di reclamizzare e vendere il prodotto illustrato, facendo "emozionare". È fin qui, ci siamo. Ma ci sono emozioni che possono scaturire anche da immagini e video meno sessisti e meno legati al campo del sesso. Non per questo di inferiore valore. Non parlo certo per demonizzare il sesso, ci mancherebbe! Parlo per demonizzare il sesso "usato" come strumento, perché mi pare offensivo e riduttivo della sua importanza, non solo quando riguarda la donna ma in senso generale.
Però,  cosa si sta facendo per contrastare la pratica della pubblicità sessista, e che cosa si può fare di più?  Ma come possiamo sperare che la società intera possa confidare nelle nostre capacità e attitudini politiche, sociali, professionali se relegate sempre in questo ruolo? In che modo possiamo costruire una sorta di leadership femminile, e come possiamo costruire una società migliore se la metà della squadra viene sempre usata e relegata all'uso mediatico per sollecitare istinti primari, leciti e comprensibili per carità, ma poco rispettosi?
Occorrerà pur cominciare a cambiare le cose, no? E perché non cominciare dalla pubblicità? ne sarei entusiasta. La pubblicità stessa avrebbe, tra l'altro, una straordinaria occasione per tornare a essere credibile, creativa e all'avanguardia nel cambiamento. Appare però improponibile passare al setaccio  tutta la pubblicità a verifica preventiva, dati i 400.000 pezzi prodotti ogni anno (e la difficoltà di intercettare, per esempio, un depliant diffuso su base locale)  ma anche tenendo conto dei tempi di attuazione. Penso ai quotidiani, i cui introiti derivano per oltre il 50% dalla pubblicità, ed ospitano una gran quantità di campagne tattiche. Il consenso all'uso di un messaggio sarebbe troppo lungo da attendere con la conseguente rimessa economica del giornale.
Così come i manifesti che dovrebbero essere verificati da parte delle affissioni comunali, ugualmente improponibile. Non ci resta che porre norme capaci di intercettare tutta la pubblicità sessista (stereotipi e cliché compresi) altrimenti non si va da nessuna parte.
Ed una domanda mi sorge ti spontanea, perché nella pubblicità di cui parlavo non viene capovolto il paradigma ? Eh beh, l'esito finale sarebbe stato sicuramente diverso.

* Esperta in comunicazione, promozione e orientamento alla salute

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donna





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