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Gli investimenti esteri nel calcio europeo

È di questi giorni la notizia che il Presidente del Milan, Li, abbia dato ulteriori conferme e garanzie relative al rifinanziamento del club. L'operazione coinvolge players cinesi, italiani, americani e non solo, con un corollario di dubbi e polemiche di ogni genere, che accompagnano quasi sempre gli investimenti esteri nel calcio europeo, basti pensare al clamoroso passaggio (senza palla) di Neymar dal Barcellona al PSG.

Proviamo a fare un po' di chiarezza, partendo da una tesi universitaria.


Andrea Pacchioni si è laureato in economia alla Cattolica di Piacenza, con una tesi proprio su questi argomenti, supportato dal Professor Francesco Timpano, direttore del Centro Studi di Politica Economica e Monetaria (CeSPEM) Mario Arcelli: "È stato molto stimolante lavorare su questi argomenti, dimostrando che le società sportive non sono diverse dalle altre. Perché un investimento funzioni, anche a livello sportivo, deve funzionare nel suo complesso, essere redditizio, esattamente come avviene nell'industria! ", ci dice.


Gli investimenti nel calcio Europeo arrivano principalmente da tre aree geografiche: Nord America, Medio Oriente e Estremo Oriente (sopratutto Cina).

Le differenze di approccio tra gli investitori provenienti da queste tre macroaree sono notevoli e risiedono, in primis, nel metodo di ricerca del miglior club da acquistare, nelle due diligence pre-acquisizione, cioè nel modo di "fare i conti", di determinare valori, costi e profitti, e nella finalità dell’investimento.


"Nel panorama italiano si è assistito a soli due investimenti di tipo Americano (Roma e Bologna) che attraverso best practices manageriali e complessi costrutti di ingegneria finanziaria hanno l’obbiettivo di trasformare i clubs in corporations,. Nello scenario Europeo si registrano, invece, nove club acquistati da sodalizi a stelle e strisce. Non è quindi una mera circostanza il fatto che il British football sia preferito dagli investitori US, mentre questi ultimi sono completamente assenti in Spagna. Sono particolarmente interessanti, poi, le acquisizioni di Nizza e Olympic Marsiglia, perché sono la prova di importanti sviluppi dell’industria calcistica francese, da sempre considerata al quinto posto nelle gerarchie Europee" - ci ha detto Pacchioni.


Se gli americani hanno un approccio più misurato, molto simile a quello che caratterizza le normali dinamiche aziendali, gli arabi si contraddistinguono soprattutto per le loro gigantesche campagne acquisti, giudicate spesso irragionevoli e contrarie ai valori normalmente fondanti per lo sport.


Se, però, si analizzano gli investimenti arabi in profondità, si evince subito come questi siano votati alla costruzione di un brand complesso, non strettamente attinente ai soli aspetti calcistici. Tale obbiettivo è raggiungibile esclusivamente tramite ingenti spese, sia nel parco giocatori sia a livello manageriale. Considerando il parco giocatori, gli Emirati Arabi hanno speso più di 1,5 miliardi di € per costruire il City, e i Qatarioti si sono potuti permettere Neymar mettendo a budget oltre 500 milioni di euro. Contrariamente a quanto avviene nel caso degli americani, il profitto non è la priorità per questi investitori, ma ciò non vuol dire che i conti non siano in ordine. PSG e City hanno chiuso i conti delle stagioni 2014/15 e 2015/16 in positivo, riuscendo sistematicamente a coprire le ingenti spese per il parco giocatori con i ricavi del club, come stabilito dal FFP.

Infine, l’ascesa dei cinesi tra il 2015 e il 2016 ha fatto registrare l'acquisizione di 10 club Europei per quasi 2 miliardi di euro in 2 anni. I cinesi hanno introdotto una novità fondamentale nell'equilibrio del panorama calcistico europeo e mondiale, cioè l’importazione di top players in Cina. L'approccio cinese è basato su numerose partnership, che promuovono quindi l'intero "sistema Paese", non un singolo brand. Inoltre l'approccio cinese si contraddistingue, spesso, per una sostanziale mancanza di comunicazione. Per cultura e modus operandi, gli eredi della dinastia Ming tendono a dire lo stretto necessario, senza aggiungere informazioni che non sarebbero utili al buon funzionamento di una transazione. Di fatto, i cinesi non hanno investito metodicamente in club dello stesso campionato come hanno fatto gli americani o in club minori, avendo lo stesso obiettivo degli arabi, pur realizzandolo con metodi molto diversi.

In realtà, lo studio di investimenti Cinesi così come quelli arabi parte dalla consapevolezza di un gap culturale con l’Europa più profondo rispetto a quello che persiste tra Europa e Stati Uniti. Tali differenze culturali condizionano inevitabilmente la concezione del calcio e i valori che lo sport rappresenta, così come il modo di fare business.

Allo stesso tempo, comprendere le circostanze estranee al calcio non risulta essere un lavoro improduttivo. Chi mai sosterrebbe che l’economia cinese sia paragonabile a quella araba o americana, o che la politica araba sia equiparabile per relazioni e potere a quella cinese?

Tutte queste differenze impattano sulle decisioni d'investimento e la loro comprensione facilita la cooperazione tra finanziatori internazionali e istituzioni locali.

Se gli americani sembrano essere incravattati squali di Wall Street, con occhiali scuri e caffè bollente sempre in mano, gli arabi hanno un approccio più glamour e mitologico a un tempo, mentre i cinesi sono schivi e riservati, come in un film di James Bond, accettando implicitamente critiche e inchieste giornalistiche. Nell'emblematico caso dei rossoneri, per esempio, una vera e propria telenovela mediatica e social è stata costruita sull'alone di mistero che l'ha contraddistinta fin da subito. Però sembra logico pensare, al di là di tifo e dietrologie di andreottiana memoria, che chi doveva avere e verificare conti, progetti e garanzie non fosse proprio ingenuamente pronto a fidarsi di prove non men che solidissime.


"Era inevitabile che la globalizzazione colpisse anche i livelli alti delle società di calcio, così come precedentemente ha colpito le squadre. L’istituzione del FFP è stata quindi una scelta lungimirante e saggia per non far perdere al calcio europeo la posizione dominante nell’industria mondiale del football!", prosegue Pacchioni.


La sua tesi, in sintesi, sostiene che sia proprio la stabilità del sistema forzatamente richiesta dal FFP, a attrarre gli investimenti internazionali.


"In Università Cattolica - aggiunge il professor Timpano - stiamo approfondendo gli studi sugli investimenti diretti esteri e sul management internazionale e il settore del football, per quanto molto specifico, è di grande interesse. La tesi di Andrea Pacchioni ci ha permesso di confrontare diversi modelli di business. Aggiungerei anche la necessità di confrontare con il modello tedesco, dove gli investimenti esteri sono sostanzialmente impossibili, che in termini di perfomance sta andando però molto bene."


Il mondo progredisce e si modernizza, insomma, il calcio non fa eccezione. E per quanto ci siano sempre i nostalgici di un aureo passato, la storia insegna che non progredire equivale a regredire. Come l'acqua di un fiume va sempre in discesa, così gli investimenti vanno dove il mercato è promettente, e per quante dighe si possano costruire, arriveranno al mare del business.

 

Andrea Bricchi
@AndreaBricchi77

Tags:
investimenti calcio




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