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Un Patto Atlantico per la Crescita per riavvicinare USA e Europa

Stiamo vivendo un periodo storico caratterizzato da profondi mutamenti geopolitici, economici e sociali, che disegneranno uno scenario mondiale molto diverso da quello a cui siamo stati abituati in passato.

L’Italia, ottava potenza economica al mondo secondo i dati della Banca Mondiale, riveste tutt’ora una posizione strategica all’interno dell’Unione Europea e nello scacchiere mediterraneo che dovrebbe essere valorizzata e allineata ai nostri interessi nazionali.

In questa fase di transizione a livello europeo, con il passaggio di consegne tra la vecchia Commissione Juncker e la nuova Commissione von der Leyen, in attesa dell’insediamento del nuovo Governatore della BCE Christine Lagarde al posto di Mario Draghi, l’Italia dovrebbe fermarsi a riflettere su quali alleanze e mosse preparare per giocare al meglio la propria partita internazionale.

Tra le poche certezze su cui fare affidamento c’è la forte simpatia per il nostro Paese da parte degli Stati Uniti d’America, come più volte dimostrato dal Presidente Trump, elemento che dovrebbe “fare la differenza” e favorire una più stretta collaborazione tra i nostri Paesi, in funzione di un ribilanciamento delle politiche europee verso obiettivi di crescita.

Una delle leve su cui dovrebbe impegnarsi il governo è quella di un riavvio dei negoziati tra USA e UE, a dir la verità ripartiti dopo il fallimento del negoziato sul TTIP nel 2016, per raggiungere un accordo commerciale e d’investimento di vasta portata, in grado di porre un chiaro paletto geopolitico nello scenario internazionale, caratterizzato dal dinamismo russo e cinese.

Dopo i primi colloqui si sono già evidenziate le criticità relative ai temi dell’agricoltura – su cui l’Europa ha eretto una barriera e su cui gli USA non intendono derogare – creando le premesse per un nuovo nulla di fatto, indebolendo entrambe le parti.

Dopo la firma del Memorandum of Understanding con la Cina, mossa quantomeno azzardata da parte italiana soprattutto per i potenziali rischi connessi con la gestione delle infrastrutture italiane (5G, porti, aeroporti, reti di comunicazione ed energia, ecc.), l’Italia dovrebbe essere in prima linea per la promozione di un Patto per la Crescita e l’Occupazione con gli Stati Uniti, che favorisca un rilancio degli investimenti americani nel nostro Paese, allinei gli standard produttivi e commerciali, aumenti il bacino commerciale per le nostre imprese e favorisca anche la maggiore penetrazione in Europa dei prodotti “made in USA”.

In questo modo potremmo evitare di essere soggetti a dazi, su cui l’Amministrazione Trump sta ragionando da tempo e attentamente, utili a riequilibrare la bilancia commerciale USA nei confronti della UE e dell’Italia (che ha un surplus con gli USA di quasi $32 miliardi nel 2018), sotto indagine da parte del Dipartimento del Tesoro americano.

Un rapporto commerciale, quello tra USA e Italia, che è fondamentale per la nostra forte propensione alle esportazioni: nel 2018, secondo i dati U.S. Census, l’export italiano ha toccato il nuovo record a $54,8 miliardi (+9,7% rispetto al 2017), contro un export USA di $22,8 miliardi (+23,9% sul 2017) per un interscambio complessivo pari a $77,5 miliardi.

Sul fronte degli investimenti, i dati 2018 rilasciato dal Bureau of Economic Analysis (BEA), mostrano sia un incremento degli FDI americani in Italia ($38,5 miliardi, +25,3% rispetto al 2017) sia un aumento di quelli italiani negli USA ($31,3 miliardi, +6,7% rispetto al 2017).

Una situazione certamente in miglioramento, sebbene l’Italia possa migliorare la propria posizione nel ranking di destinazioni d’investimento USA (nel 2018, decima in Europa e ventiduesima al mondo).

L’Unione Europea e l’Italia devono perciò affrontare di petto il rapporto commerciale con gli Stati Uniti, consci degli interessi in gioco e delle priorità americane: aumentare le opportunità commerciali per le imprese americane e favorire più investimenti esteri negli USA, obiettivo in linea con la necessità per le imprese italiane di internazionalizzarsi ed espandere la propria presenza nel mercato più grande e importante al mondo.

Infine, gli obiettivi geopolitici che si raggiungerebbero sono molteplici:

- ridisegnare la governance della globalizzazione, elemento mancato nel passato e che ha creato un’ondata di rigetto nei confronti di questo fenomeno;

- favorire una crescita economica duratura e sostenibile;

- creare una più forte inclusione delle fasce sociali più deboli ed escluse dai benefici della prima globalizzazione;

- mantenere e rafforzare il ruolo di guida e di “rule-maker” di questo processo, evitando che Paesi a minor tasso democratico possano prendere la leadership e imporre i propri standard politici, economici e sociali.

Tutto ciò assume un significato ancora più forte se consideriamo che le economie USA e UE sommate formano il 45,7% del PIL globale (fonte: Banca Mondiale) e che, dal novembre 2012, è in discussione un accordo di libero scambio noto come RCEP (Regional Comprehensive Economic Agreement) che coinvolge 16 Paesi del fronte asiatico, con Cina e India in prima fila.

Ad oggi, questo accordo non è stato ancora siglato. Tuttavia, dal 22 al 31 luglio è in svolgimento a Zhengzhou il 27° round di discussione tra i Paesi coinvolti. Probabilmente, come afferma la delegazione australiana, la strada per un accordo è ancora lunga, ma il rischio che si formi il primo blocco mondiale per peso economico deve essere un costante campanello d’allarme per le leadership americane ed europee.

Pertanto, auspichiamo che questo tema possa rientrare tra le priorità della nostra agenda di politica internazionale, permettendo all’Italia di guadagnare centralità nel dibattito politico europeo e confermando il ruolo di alleato transatlantico primario per gli Stati Uniti d’America.

In una fase di profonda complessità politica ed economica, in cui le interconnessioni tra Paesi e sistemi sono la regola, questa mossa regalerebbe nuove prospettive politiche e di sviluppo.

Dopo i fallimenti del passato, la necessità di un Patto Atlantico per la Crescita è sempre più forte.

Il tempo è maturo, lo saranno anche le leadership europee?

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