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Viaggi
Con "Terra di Sardegna" scopriamo Bitti, Lula, Onanì, Orune, Osidda

di Paolo Marongiu

 

Il progetto Terra di Sardegna

Per volontà dei comuni, della Pro Loco Sa Rosa ‘e Monte di Lula e degli operatori dei territori di Bitti, Lula, Onanì, Orune, Osidda nasce il Consorzio Terra di Sardegna, con l’ obiettivo di creare un ecosistema turistico i cui viaggiatori possano vivere un’esperienza senza ostacoli, che inizia dal desiderio di mettersi in viaggio, prosegue durante il soggiorno e continua con il ricordo, la condivisione delle impressioni, delle visioni, delle emozioni. 
Ogni meta diventa punto d’incontro tra visitatori e territorio, dove la qualità incontra l’accoglienza, la cortesia, il calore umano, e dove lo scambio è reciproco.

Il marchio scelto rappresenta lo sgabello in ferula, materiale poco pratico per l’attività lavorativa, che l’esperienza e l’ingegnosità degli antichi pastori ha trasformato in un oggetto utile alla vita  quotidiana: sullo sgabello ci si sedeva attorno al fuoco, o sull’uscio di casa nelle serate estive. E’ simbolo di racconto, condivisione, legami. E sono questi concetti l’anima del Consorzio.

Sono numerose le peculiarità del territorio che ci accoglie. Ogni elemento contiene in sé significati, storie di persone e di comunità, sapienza e tradizioni. Tutto è circondato da una natura per molti tratti ancora incontaminata, dove convivono tracce di un glorioso passato e simboli di ere recenti, in un sincretismo capace di incantare e affascinare. 
Il viaggio quindi parte dalla maestosità del Montalbo, che spesso lascia intravedere il turchese del mare a pochi chilometri di distanza, e tocca le radici più profonde di questa terra, attraverso le gallerie della Miniera Sos Enattos. Nel mezzo, le pareti dei piccoli borghi che ne raccontano la storia, gli echi del remoto canto a quattro voci, i gesti di una tradizione antica capace di trasformare pochi ingredienti in gustosi piatti, e semplici materiali in opere d’arte. Capitolo a sé merita la civiltà nuragica: il territorio del Consorzio ha infatti l’onore di ospitare alcuni unicum dell’antica popolazione, costituiti dal tempio sacro Su Tempiesu  - Orune – e dal villaggio Romanzesu – Bitti - , vere e proprie meraviglie della arcaica sacralità e architettura.

Il viaggio

Posada ci accoglie in una sera silenziosa e stellata. Le strette vie del suggestivo centro storico si inerpicano su una collina e giungono sino all’imponente castello della Fava, che domina il piccolo borgo e volge lo sguardo al mare. L’architettura medievale, i vicoli tortuosi e le piccole piazze rimandano alle vicende storiche per cui il centro baroniese si è reso protagonista. Posada infatti fu sede dei sovrani di Gallura e di Eleonora D’Arborea, per poi passare agli aragonesi verso la fine del 1300 e ritornare ancora una volta sotto il governo isolano con Brancaleone Doria. Il particolare appellativo del Castello deriva da una leggenda, secondo cui, intorno al 1300, una flotta di Turchi sbarcò sulle coste sarde e pose sotto assedio il borgo, con l’obiettivo di conquistarlo per fame. Gli abitanti posero in atto un tentativo di salvezza: fecero mangiare l’ultima manciata di fave rimaste a un piccione, ferendolo leggermente. Questo, durante il volo, cadde nell’accampamento dei Turchi, rivelando lo stomaco pieno di fave ed inducendo gli assedianti a sovrastimare le risorse alimentari degli isolani. Fu così che i Turchi, convinti di non avere nessuna speranza, tolsero l’assedio e lasciarono le coste dell’isola.

Merita una menzione speciale la spiaggia: sabbia bianca e  acque cristalline, da vivere anche nei mesi di minor affluenza, circondate da dune su cui è posta la massima attenzione al fine di salvaguardarle. Le sfumature di bianco e azzurro della costa vengono arricchite ulteriormente dal rosa degli splendidi fenicotteri che abitano gli stagni ai piedi del borgo. Nonostante si tratti di uccelli migratori, anche a Gennaio è possibile godere della loro eleganza (gli effetti spaventosamente positivi del surriscaldamento globale).
L’immersione della visita ben prepara a tuffarsi nei sapori locali. Ed ecco che all’agriturismo Guparza dei fratelli Luigi e Pietro Demurtas è possibile soddisfare il proprio gusto con alcuni piatti della tradizione isolana. Un susseguirsi di pietanze derivanti da pochi semplici ingredienti, preparati con professionalità e attenzione e nel pieno rispetto della storia e della cultura del territorio. E’ così che uno dopo l’altro vengono serviti, tra gli altri, Purpedda – la polpa di maiale confezionata per la preparazione delle salsicce, fritta, con olive - , Petta a lardinu – carne di maiale a piccoli tocchi e condita con ceci - , Sardizza in umidu – salsicciotti presentati con polpa di pomodoro, erbe aromatiche e cipolla. La pasta fresca si aggiudica il ruolo di regina dei primi, sia in versione macarrones de punzu – gnocchetti – sia come ravioli di ricotta. 

[ Curiosità: a Posada i ravioli di ricotta erano i più diffusi e accessibili a gran parte della popolazione, al contrario di quelli di formaggio, difficili da reperire e che costituivano piatto importante  e costoso presente soprattutto presso le famiglie ricche.]
La mattina successiva ci riserva esperienza più che speciale. Dal mare ci spostiamo verso l’interno, meta: Orune, a pochi chilometri da Nuoro. La catena del Montalbo presto lascia spazio ai fitti boschi di sugherete, altipiani granitici e profonde valli, regalando uno dei più bei panorami della Sardegna. 
In Colombi e Sparvieri Grazia Deledda chiamava Orune Oronou, descrivendolo come un : 
«villaggio con le sue casette rossastre fabbricate sul cocuzzolo grigio di una vetta di granito, con le sue straducole ripide e rocciose, parve emergere dalla nebbia come scampato dal diluvio »

Ed è proprio così che Orune si apre alla nostra vista, con le sue case colorate che emergono da un mare di nebbia, dando l’idea di galleggiare tra le nuvole.
Entro questo ambiente quasi incontaminato e protetto spiccano tombe di giganti, dolmen e menhir. Non mancano le fonti e pozzi templari, tra i quali il più conosciuto è sicuramente Su Tempiesu, ormai simbolo del paese. 

Su Tempiesu, che sorge poco fuori l’abitato, venne scoperto casualmente nell’estate del 1953, durate i lavori di terrazzamento per la realizzazione di un orto. La famiglia Sanna s’imbatté in uno dei monumenti più rappresentativi della Sardegna Nuragica: una fonte sacra dedicata al culto delle acque, uno degli esempi più raffinati di architettura religiosa dell’età nuragica. 
Peppino, della coop LARCO, ci accompagna alla scoperta di questo magnifico quanto misterioso sito. Lungo il percorso, di circa un chilometro, ci si immerge tra la flora del territorio: Arbusti della macchia mediterranea e alberi creano suggestivi archi naturali che incorniciano la vallata sottostante. Dopo una piccola curva appare lui, maestoso, in tutta la sua grandezza e con la saggezza dei suoi 3000 anni. Attorno regna il silenzio. Si sente solo l’acqua che scorre. In un primo momento ciò che si prova è quasi timore di disturbare, d’altronde ci si trova davanti a un monumento di migliaia di anni che gli antichi consideravano sacro. Da vicino si notano quanto quegli stessi antichi (sempre loro) siano stati bravi nell’architettare la struttura. E’ perfetta. Le pietre hanno linee regolari e l’acqua non va oltre lo spazio dei canali che i costruttori gli hanno donato. E’ sicuramente d’obbligo sostare ai piedi del tempio e assaggiare le sue acque, leggere come poche al mondo e stare lì in silenzio a godere delle musiche della natura e della magia del luogo. Ci riferiscono che negli ultimi anni sono sempre più le persone che si recano alla fonte sacra per godere delle sue energie. Ed effettivamente vien da pensare che se questi stessi antichi hanno trasportato pietre dal fondo della vallata sino a lassù un motivo ci sarà stato.
Lasciati alle spalle la magia del tempio è la volta di Osidda, introdotto da fitti boschi alternati a verdi distese. 

Case in granito e vie lastricate formano il piccolo centro situato nella regione del Monte Acuto. Si caratterizza per gli edifici che richiamano alle linee architettoniche del passato, arricchiti da balconi fioriti: il centro storico, ben curato e attentamente valorizzato, offre interessanti scorci da fotografare. “Casa Delogu” , risalente alla fine del Settecento, costituisce uno dei simboli del paese. 
Anche qui pastorizia, agricoltura e artigianato sono alla base della cultura e dell’identità. Il territorio, abitato sin da epoca nuragica, conserva interessanti esempi di nuraghi e tombe dei giganti, tra cui Iscobalzu e Usanis e il villaggio di Seris, facilmente fruibili ai turisti e agli appassionati e incastonati in splendide scenografie naturali.
[Le nostre papille gustative vengono ampiamente soddisfatte presso l’Agriturismo s’Iscopalzu, che prende il nome dal territorio su cui sorge e dall’omonimo nuraghe a pochi metri dalla struttura]

Dal più piccolo centro passiamo a uno dei più grandi del territorio visitato: Bitti. 
Bitti Si sviluppa ad anfiteatro dove suggestivi scorci conservano antiche costruzioni in pietra. Il pastoralismo, su cui si fonda l’intero patrimonio culturale del paese, è ben rappresentato nel museo della Civiltà Contadina e pastorale i cui ambienti, ben riprodotti, riportano alle vicende quotidiane
e lavorative di tempi ormai lontani. Menzione a parte merita il settore multimediale dedicato a uno dei canti più antichi: il canto a tenore. Un canto arcaico composto da quattro voci che rimandano al muggito del bue (su bassu), al sibilo del vento (sa mesu oche), al belato delle pecore (sa contra), oltre ala voce dell’uomo stesso (sa boche), in perfetta sintonia con ciò che lo circonda. Si tratta di un canto a volte di festa altre volte malinconico, tramandato da generazioni  e proclamato di recente patrimonio della cultura immateriale dell’UNESCO.

Tradizione e modernità si fondono invece in Terrapintada, laboratorio di ceramiche artistiche di Robert  e Giulia Carzedda e Simonetta Marongiu. Le forme dei manufatti trovano ispirazione con la cultura materiale isolana per diluirsi con i colori sgargianti ormai segno distintivo della squadra di artisti.

[agriturismo Calavrina]

L’ultimo giorno è quasi interamente dedicato a Lula, che si presenta come un paese fortemente legato alla montagna che lo incornicia: il Montalbo. Lo sviluppo delle attività minerarie e pastorali, infatti, è dipeso dalle risorse che offrivano il rilievo e il territorio circostante.
Inserite uno splendido paesaggio è possibile visitare alcuni dei più bei esempi di archeologia industriale: la miniera Sos Enattos. Sos Enattos rappresenta un sito ricco di storia risalente addirittura all’epoca romana. Le tracce di pozzi e gallerie furono conservate sino al 1960, quando lo sfruttamento intensivo del giacimento portò alla loro cancellazione. Gli scavi e le estrazioni, conclusesi a metà degli anni Novanta, hanno lasciato il posto alla creazione di itinerari fruibili al turista, alla riscoperta di un mondo ai più sconosciuto. Ed è qui che grazie all’esperienza e ai racconti di Pietro, ex operaio, ci immergiamo nelle dinamiche di un mondo nuovo, sconosciuto ai più, in opposizione a quella Sardegna dei verdi pascoli e della vita all’aria aperta. Un mondo in quiete, che appare come istantanea di un’epoca ormai passata e che, quasi silente, ha fatto la storia dell’isola.
Il percorso di visita è disposto su due livelli, arrivando a una profondità di 80 metri: si rivivono le epoche di grandezza e declino del sito, si percepiscono la fatica dei minatori che nonostante le condizioni pessime di lavoro, svolgevano con impegno il proprio compito, e allo stesso tempo l’orgoglio di questi nella lotta per salvaguardare il posto di lavoro.
Racconti, aneddoti e esperienze personali della nostra guida arricchiscono la visita, mentre si percorrono gallerie vecchie (risalenti agli anni cinquanta) e nuove. I momenti di travolgente silenzio vengono scanditi dal suono quasi ovattato dei passi e dallo scorrere dell’acqua: pare impensabile che prima, quegli stessi ambienti, potessero accogliere il frastuon
o delle macchine ora dormienti, ferme nella semi oscurità, a testimoniare il proprio ruolo di un tempo.
La risalita in superficie è carica di emozione: il calore e la luce vengono felicemente apprezzati ed è automatico il pensiero verso quegli uomini e quelle donne che con costanza e sacrificio dedicavano la propria vita al cuore della montagna.
La visita prosegue presso la laveria, gigante ormai immobile, e il museo, all’interno del quale sono state riprodotte le fasi del lavoro, oltre che alcuni ambienti quali il laboratorio chimico e l’infermeria.
Il contesto di questo duro lavoro ora ospita anche delle vere e proprie opere d’arte. Lungo il tragitto, sia all’interno della miniera sia all’esterno, è, infatti, possibile imbattersi nelle creazioni degli ex minatori: scarti di materiale e metalli sono stati sapientemente e ingegnosamente assemblati per riprodurre uomini al lavoro; piccole sculture in terracotta rimandano a cenni di vita in miniera; murales, ad opera di Diego Asproni, colorano le pareti di ingresso di alcune gallerie non più utilizzate e ormai chiuse. 
Dalle miniere alla sapienza dei pastori. E’ così che assistiamo alla creazione di uno dei prodotti più rappresentativi della gastronomia del territorio: il formaggio. Assistere alla lavorazione del latte per arrivare al pecorino semicotto permette di cogliere gesti tramandati nel tempo, ricchi di storia e esperienza difficilmente reperibili sui libri. E dopo i pastori ci facciamo conquistare dalle donne: il comitato de Sas Animas ci riserva trattamento speciale. Alla nostra visita è dedicata la preparazione dei macarrones de erritu, pasta fresca lavorata con ferretti per dargli la tipica forma allungata e servita con abbondante sugo e formaggio. Vi è una curiosità dietro alla preparazione di questa pasta: oltre a costituire piatto delle occasioni importanti, si lega a un’importante tradizione che ci riporta Zia Maria, grandiosa 86enne. Nel periodo precedente alla ricorrenza dei defunti, un gruppo di 20 donne si riunisce ogni giorno per impastare e cucinare il piatto che andrà poi distribuito a tutto il paese. Il rito deriva da un’antica promessa sviluppatasi come modalità di mutuo soccorso verso i meno abbienti. Nel corso del tempo la distribuzione si allargò all’intera comunità.
Onanì ci riserva l’ultima tappa del viaggio. Sebbene di piccole dimensioni (circa 400 abitanti), tra le sue mura contiene tanti tesori. I vicoli dell’abitato sono arricchiti da numerosi murales che ripercorrono la storia e le tradizioni della comunità. Attraverso il muralismo dunque, si può compiere un viaggio tra le dinamiche lavorative, con scene legate al pastoralismo e al lavoro in miniera, di vita quotidiana, come quelle legate alla panificazione, e comunitaria, dai risvolti sociali e politici, come quello che ricorda la manifestazione degli abitanti di Onanì contro l’esproprio delle terre per la costruzione della colonia penale di Mamone. Ciascuno racconta una storia diversa, facendo emergere il desiderio e il bisogno di esprimersi da parte di un popolo per certi versi ancora sconosciuto. Storie che ora sono perfettamente inserite in spazi comunitari e condivisi, alla portata di tutti.
Tanto si è scoperto e tanto è da conoscere ancora. Oltre a grandi e piccole curiosità, quel che resta del viaggio sono sicuramente le persone, i compagni di avventura e chi, con grande disponibilità ci ha accolto. Non resta che attendere la prossima puntata.

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