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Viaggi
Prenotazioni a rilento: previste due milioni di presenze in meno questa estate

Il turismo rallenta. E per la prima volta da cinque anni a questa parte, le previsioni per la stagione estiva hanno il segno meno: tra giugno e agosto sono attese 205 milioni di presenze, quasi 2 milioni in meno rispetto all’estate 2018, pari a una flessione dello 0,9%. Secondo quanto rileva Cst per conto di Assoturismo Confesercenti, il calo coinvolge turisti italiani (-1,1%) e internazionali (-0,8%), ed è dovuto alle condizioni meteo ancora incerte che non favoriscono le prenotazioni ma anche alla ripartenza delle destinazioni competitor del Mediterraneo meridionale e orientali, frenate in passato dalle tensioni internazionali. Non a caso a soffrire sono soprattutto le aree costiere (-1,4%), mentre i risultati migliori questa estate li avranno le imprese ricettive che operano nelle città d’arte/centri minori (-0,4%) e nelle località lacustri, dove si registra una domanda estera in leggerissima crescita (+0,2%). Le aree del nostro Paese con le proiezioni meno favorevoli sono il Centro e il Sud/Isole (-1,4%). Più resilienti Nord Est e Nord Ovest, rispettivamente al -0,7% e al -0,3%. Un tonfo che arriva in un momento delicato per il turismo italiano, dopo quattro anni di crescita. Alle previsioni non entusiasmanti per la prossima stagione estiva, infatti, si aggiunge un consuntivo della prima parte dell’anno a dir poco deludente: a causa del meteo pazzo, infatti, la stagione primaverile non è mai decollata, e tra gennaio e maggio si è registrato un calo di -1,7 milioni di presenze rispetto al 2018.

“Il turismo italiano è in un momento delicato”, commenta Vittorio Messina, presidente di Assoturismo Confesercenti. La spinta propulsiva degli anni scorsi si sta esaurendo e riemergono le problematiche mai risolte del settore, dalle carenze infrastrutturali all’abusivismo. La delega al governo in tema di turismo è un’occasione per portare a casa una riforma mirata alla crescita: servono interventi per individuare e tutelare le figure professionali del turismo, ma anche un contrasto più efficace all’abusivismo ricettivo e un piano per ridurre le tasse sul settore”.

In effetti, il fisco turistico italiano è tra i più pesanti d’Europa. E tartassa i turisti in vacanza in Italia chiedendo loro circa 2,6 miliardi di euro l’anno. Una vera e propria stangata, dovuta non solo ad un’Iva sui prodotti turistici superiore di 1,5 punti alla media europea, ma anche ad una tassa di soggiorno particolarmente esosa, che quest’anno peserà per 600 milioni di euro e la cui incidenza arriva a superare il 10% del costo di pernottamento di una famiglia in vacanza.

“Una tassa -spiega Messina- nata con lo scopo di assicurare agli enti locali le risorse per potenziare i servizi turistici, migliorare l’offerta culturale e i servizi pubblici, ma che ha finito per essere interpretata quale uno dei tanti canali di finanziamento degli Enti locali, trasformandosi da tassa pro-turismo a tassa sui turisti. Bisogna cancellarla o riportarla alla sua vocazione originaria, e allo stesso tempo fare una riflessione sulla normativa e sulle conseguenze che la stessa determina sulle imprese”.

“Bisogna agire, con velocità -conclude il presidente di Assoturismo- anche sull’Iva visto che lo spread tra la nostra aliquota sul turismo e quelle straniere rischia di peggiorare enormemente nel prossimo futuro: se le clausole di salvaguardia previste dalla legge di stabilità dovessero essere applicate, l’aliquota passerebbe al 12% già nel prossimo anno e al 13% nel 2021: 4,5 punti percentuali sopra alla media Ue, 6,5 sopra la Grecia, 6 rispetto alla Francia e 3 sopra la Spagna. L’aumento dell’Iva, dunque, va evitato ad ogni costo. Anzi, andrebbe valutata la praticabilità di una riduzione, finalizzata a far ripartire i consumi turistici e a renderci più competitivi nei confronti dei nostri concorrenti”. 

 

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