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Esteri
Purghe vietnamite

Vietnam, purghe anticorruzione per regolare i conti all'interno del Partito

Sin dalla presa di Saigon, il Partito Comunista del Vietnam (PCV) si è sforzato di proiettare un'aura di moralità e armonia nel Paese da 99 milioni di abitanti che governa, con l’ausilio di un severo apparato repressivo, dal 1975. Il velo di Maya è stato squarciato dalle dimissioni ravvicinate, entrambe per accuse di corruzione, di due presidenti della Repubblica: Nguyen Xuan Phuc il 18 gennaio del 2023 e poi Vo Van Thuong a fine marzo del 2024. Questa instabilità politica potrebbe allontanare gli investitori stranieri e le aziende americane in uscita dalla Cina che finora hanno trovato nel Vietnam, astro nascente (non solo per il simbolo della sua bandiera) del Sud – Est asiatico, un paese amico in cui posizionare le catene del valore di settori critici, come semiconduttori e microchip, e porre al riparo i propri capitali dal confronto strategico tra Pechino e Washington. Nel 2023 non a caso gli investimenti diretti esteri sono aumentati di un terzo raggiungendo i 36,6 miliardi di dollari.

Il Vietnam, uno dei 5 stati comunisti a partito unico rimasti al mondo, è un “cucciolo” che si vuole fare tigre - asiatica - ma deve stare attento a non rimanere imbrigliato nel grande gioco delle due superpotenze. Le dimissioni di Phuc e Thuong vanno inquadrate nella più ampia cornice di una campagna anticorruzione lanciata nel 2013, la “fornace ardente”, che ha già colpito 200 000 membri del partito e fatto rotolare le teste di due vicepremier, vari ministri, un quarto dei componenti del politburo (l’organo supremo del PCV), 50 generali e centinaia di funzionari governativi. La corruzione è una piaga incancrenita di questo paese: l’11 aprile la magnate dell’immobiliare Truong My Lan è stata condannata a morte per presunta frode finanziaria e ottenimento indebito di prestiti, perpetrati a forza di mazzette e scatole cinesi attraverso la Saigon Commercial Bank. Il volume di questa supposta ruberia (12,5 miliardi di dollari di frode più 44 mld di prestiti indebiti, di cui 27 mld da restituire) ammonta a più del 13% del PIL vietnamita nel 2023. Nello scantinato di My Lan sono state trovate due tonnellate di contanti derivanti dalla truffa. La magnate ha appellato la sentenza il 26 aprile scorso.

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Tuttavia, come da manuale per le nazioni in cui lo stato di diritto è fragile, il contrasto alla corruzione sta venendo adoperato da fazioni contrapposte e a vari livelli della macchina statale come grimaldello per eliminare i propri avversari politici, assumendo i contorni di una purga. Nello spazio di un mattino Thuong è passato dall’essere il più giovane presidente della Repubblica della storia del Paese a quello col mandato più breve. Fino a qualche mese fa era visto come il golden boy della politica vietnamita e l'erede designato di Nguyen Phu Trong, segretario generale del Partito Comunista del Vietnam dal 2011, già presidente della Repubblica e dominus de facto della nazione, che a 79 anni è dato sulla via del ritiro dalla scena pubblica al prossimo congresso del partito del 2026. La defenestrazione del delfino di Trong segnala un intensificarsi delle lotte intestine per la guida del Partito. In Vietnam infatti viene sì esercitata una leadership collettiva dai “quattro pilastri” della nazione (segretario del Partito, presidente della Repubblica, primo ministro e presidente dell'Assemblea Nazionale) fondata sull’equilibrio e il metodo del consenso per arginare lo scenario di un uomo solo al comando, ma di fatto il segretario generale del PCV è la figura più influente del Paese, ancora di più a seguito dell’avvio della campagna anticorruzione.

I poteri del presidente della repubblica vietnamita sono invece a fisarmonica: quando il Capo dello Stato non è segretario del Partito, è una figura per lo più cerimoniale, sebbene possa presiedere le riunioni del governo e del consiglio di sicurezza e difesa nazionale e sia membro di diritto del politburo. Nonostante porti con sé molte esternalità negative, la corruzione negli stati autoritari può a volte essere un fattore di spinta della crescita economica, incentivando i dirigenti pubblici a sbloccare investimenti e cantieri. Per contrappasso in Vietnam la campagna anticorruzione sta da qualche tempo sortendo l’effetto collaterale di alimentare tra i quadri dell’amministrazione la paura della firma anche per le autorizzazioni dei progetti privati e le licenze commerciali. Sin qui le indagini hanno risparmiato le compagnie straniere ma le lungaggini burocratiche e l’incertezza dello scenario politico hanno generato attendismo e portato nel 2023 a una riduzione del tasso di investimenti diretti esteri (IDE) realizzati su quelli iscritti a bilancio.

Il PIL vietnamita si è incrementato di quasi 6 volte nell’ultimo trentennio ma l’anno scorso ha mancato l’obiettivo di crescita, prefissato dal governo, di quasi un punto e mezzo percentuale. Il Vietnam rimane comunque un paese molto accogliente per gli IDE, grazie ai tassi di interesse e ai salari bassi e ai sussidi statali per aprire nuove fabbriche. Non è dunque in discussione la visione alla base del Doi Moi, il piano di riforme economiche che portò il Vietnam ad aprirsi al mercato a partire dal 1986. Ma c’è anche un aspetto geopolitico da considerare nei conflitti sotterranei che stanno attraversando il PCV: i due vicepremier rimossi e l'ex presidente della Repubblica Nguyen Xuan Phuc erano filoamericani mentre il presidente appena destituito Thuong era filocinese come il segretario generale del Partito Trong.

Da anni è in corso una gara di corteggiamento tra Pechino e Washington in cui l’interessato, il Vietnam, ammicca ma allontana l’anello e nel frattempo massimizza doni e lusinghe. Il Paese, pur essendo governato da un partito comunista, ha varie dispute territoriali con la Cina, suo primo partner commerciale, sulle acque e le isole del Mar Cinese Meridionale attraverso il quale transita il 30% delle merci del pianeta e che in questi giorni è tornato a essere zona di attrito con le provocazioni della guardia costiera cinese verso la marina filippina e l’avvio di pattugliamenti congiunti tra USA, Giappone, Filippine e Australia. Perdipiù i vietnamiti serbano ancora livore per l’invasione, ultima di una lunga serie, subita da parte dell’imprescindibile alleato socialista nel 1979. Tra lo stupore degli analisti, il 10 settembre del 2023 gli Stati Uniti e il Vietnam hanno siglato un partenariato strategico globale che ha elevato gli USA (grande sconfitto della Guerra del Vietnam) in un sol colpo di due livelli, sino al rango di Russia e Cina, nella gerarchia delle relazioni diplomatiche vietnamite. E’ stata così archiviata la scottatura del Vietnam per il ritiro degli Stati Uniti, per volere di Trump, dalla Trans-Pacific Partnership (un accordo di libero scambio), dopo anni di negoziati portati avanti dall'amministrazione Obama.

Per unirsi al trattato, il Vietnam aveva dovuto varare riforme sistemiche osteggiate internamente e rischiose per la sua economia, per poi essere lasciato sull'altare insieme agli altri 16 contraenti (coi quali ha in seguito dato vita al Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership). Questa promozione dei rapporti con Washington, attesa per oltre un decennio, è un segnale di forza all'indirizzo di Pechino col quale il Vietnam, sempre preoccupato di non irritare il vicino, ha voluto dare prova di poter perseguire una propria agenda nell'Indo - Pacifico. Va in questa direzione l'avvio a gennaio del 2024 di una cooperazione rafforzata con le Filippine per il pattugliamento delle coste e la sicurezza marittima, a cui si aggiunge il recente innalzamento a partner strategico globale anche del Giappone. Il Vietnam, avvicinatosi pure all’India, all'Australia e alla Corea del Sud, sta sviluppando una politica estera “omnidirezionale”, che si fonda sulla diversificazione delle relazioni commerciali e diplomatiche attraverso – fin qui 18 - accordi di libero scambio con potenze regionali e globali. In aggiunta negli ultimi anni il Vietnam ha ricevuto dagli Stati Uniti supporto economico, forniture e addestramento militari per controbilanciare le ingerenze cinesi.

Ma tutto ciò a cui vogliono arrivare gli USA violerebbe i "quattro no" (non partecipare ad alleanze militari, non schierarsi con un paese per agire contro un altro, non avere basi militari straniere, non usare la forza o minacciare di usarla nelle relazioni internazionali) a cui il Vietnam è rimasto fedele a partire dal 1991 per porre fine alla lunga serie di scaramucce sui confini che andavano avanti col Paese di Mezzo dal 1979. Tuttavia il legame con Pechino resta saldo. Il 13 dicembre dello scorso anno al termine di un incontro tra il segretario generale del Partito Comunista Cinese Xi Jinping e il primo ministro vietnamita Pham Minh, i due paesi hanno annunciato l’impegno a intensificare la loro collaborazione in materia di difesa e sicurezza, in nome del comune interesse a evitare trasformazioni eterodirette in senso liberale dei propri regimi.

Sin dai tempi del Vietnam del Sud è inoltre molto influente la popolazione di origine cinese in virtù della “rete di bambù”, l’intreccio di aziende e imprenditori provenienti dalla Cina che operano all’estero e costituiscono una quota ingentissima delle economie del Sud – Est asiatico. Non c'è da stupirsi di queste contraddizioni: sempre il bambù ispira la diplomazia del Vietnam, che è flessibile e si piega in base al vento. Il tentennamento più che un fattore di debolezza è un punto qualificante del processo decisionale del Vietnam, che sta giocando tutte le sue carte per rimanere un paese cerniera tra le due superpotenze. Sospeso fra repressione e apertura al nuovo, il Paese che incarna la contraddizione deve scegliere se diventare una potenza marittima o una continentale, se proteggersi dalle invasioni di terra o divenire padrone del suo mare. Ma in fin dei conti il Vietnam sa, come recita un antico adagio cinese, che “l’acqua lontana non spegnerà il fuoco vicino”. Ad aprile del 2023 il Segretario di Stato USA Blinken, in visita ad Hanoi, aveva preconizzato: “Il sole splende sulle nostre relazioni”. Con questi chiari di luna, chissà se il sole sorgerà ancora sul Vietnam.






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