Il commento/ La burocrazia non è uguale per tutti
Di Marco Volpati
Conosco un pizzaiolo che sta diventando matto: da mesi cerca di mettere in regola il suo forno a legna; ma quel che va bene alla ASL non piace al comune, e viceversa. Sta inseguendo una pila di scartoffie, timbri e bolli, con la spada di Damocle di una minaccia di chiusura. Eppure tutti sanno che quelle carte non garantiscono niente di concreto: solo ossequio a regole contraddittorie e a controllori spietati.
Non va sempre così. Prendete l’ILVA di Taranto e la Tirreno Power di Vado Ligure, dove la magistratura sta procedendo con l’ipotesi che quegli impianti abbiano provocato, negli anni, la morte di centinaia di persone avvelenate dagli scarichi nell’aria. Arriveranno prima o poi sentenze in base alla legge, e intanto i responsabili delle aziende potranno difendersi e sostenere le proprie ragioni.
Sgomenta, però, che si proceda dopo tanto tempo, quando i danni sono già avvenuti. Chissà, a Taranto e Vado può darsi che le carte e i timbri ci fossero tutti, e però le certificazioni dichiaravano il falso. Oppure non c’erano, o per lo meno non tutte; eppure non si è mai presentato alle porte un vigile a ingiungere: “o ti adegui alle mie indicazioni, o chiudi”, come capita a un pizzaiolo qualsiasi.
Cinquant’anni fa Pietro Nenni, leader dei socialisti di allora, disse che voleva cambiare uno Stato che era “forte con i deboli e debole con i forti”. Non c’è riuscito lui, ma hanno fallito anche tutti gli altri che sono venuti dopo.
Compirebbe davvero una rivoluzione un governo che riuscisse, non diciamo a ribaltare, ma almeno a correggere l’andazzo per cui potere, amicizie e comparaggi rendono indulgente la burocrazia; e non solo quella (pensiamo al credito delle banche).