Avete notato che tutti i prodotti proposti al pubblico devono essere “senza” qualcosa? Senza sale, senza zuccheri aggiunti, senza fosfati, senza lattosio, senza conservanti o coloranti, senza olio di palma, senza sali di alluminio, senza grassi idrogenati, senza glutine. Una volta, quando l’Italia era un paese in crescita, i prodotti erano considerati appetibili se erano “con” qualcosa. Con uovo, con panna, con glutine (una pasta per brodo era magnificata in quanto “pastina glutinata”).
C’era persino il dentifricio Colgate con Gardol. Cosa diamine fosse questo Gardol nessuno lo sa, e nessuno se lo chiedeva anche allora. Ma in quel tempo era trendy tutto ciò che si presentava “con”, non senza. Tempo in cui l’accrescimento, l’arricchimento di persone, cose e prodotti era un valore. Forse perché il dopoguerra era vicino, e la memoria di un’epoca di carestia, di privazione, di tessere alimentari e di scarsità era ancora viva.
Oggi siamo all’opposto; prevale il senso di sazietà, di eccesso da contrastare, di consumismo da moderare. Dunque un prodotto vanta sempre di essere “senza” qualcosa. Ovviamente, se si suppone che quel “qualcosa” sia nocivo, ben venga il “senza”. Però viene spontaneo un dubbio: quelli erano tempi “con” il lavoro e “con” la speranza di un futuro migliore, per la collettività e per i singoli. Oggi invece, anche in questa dimensione, prevale il “senza”……