Chi ci ricorda la vicenda drammatica di Lu Xiaobo? Quella a noi più familiare di Antonio Gramsci. Certo, Gramsci era comunista, come si definiscono i gerarchi del regime cinese. Ma vediamo le impressionanti analogie. Un regime totalitario, che pretende di dominare "in toto" il paese, la società e anche le coscienze. Guidata da un'oligarchia che si definisce "partito unico", e interpreta la politica in termini di nazionalismo totalizzante, con la repressione di qualsiasi autonomia (Alto Adige, Austria un tempo, il Tibet oggi).
Un regime statalistico e autocratico per una parte, ma capitalista e sfruttatore del lavoro come nemmeno l'Inghilterra osservata e descritta da Carlo Marx. Un paese rampante e anche rispettato e temuto per la potenza economica e militare; come erano negli anni '30 l'Italia fascista e la Germania di Hitler. Le quali, infatti, godevano di attenzioni e persino di benevolenze da parte dei regimi liberal-democratici in Europa e in America. La differenza, almeno finora, è nell'aggressività verso l'esterno. La Cina si limita a qualche invadenza o provocazione verso le isole Senkaku. E tutti a sperare che quella situazione non si trasformi nei Sudeti del 21esimo secolo.
Ma dobbiamo confessare la verità: in nome del business e della realpolitik chiudiamo tutti e due gli occhi di fronte al totalitarismo feroce di Pechino, che decreta la carcerazione e la morte degli oppositori. Prendiamo di petto le dittature ( Gheddafi, Saddam Hussein o Assad) soltanto se sono deboli e pericolanti.