Odiodio
Faustino, da piccolo, è un bambino silenzioso e indipendente: nato a Como, da una famiglia laboriosa e di idee forti, coltiva una passione per l'Inter, che lo lega al padre, e un'altra, intima e infinita, per le parole. Le annota e le pesa, le rende significative, e attraverso di esse impara a conoscere l'intorno. Importante è il rapporto con il sagrestano del paese, Felice: esperto di piante e genuinamente saggio, Felice trasmette a Faustino un profondo interesse per la botanica, per ciò che è fragile, minuto, bisognoso d'acqua.
Un giorno tutto cambia: Faustino sente Dio, vede Dio, e prende la decisione di farsi prete. Ma la sua non è una religiosità dottrinale, è una vocazione fatta di attenzione e cura del mondo. Quello con Dio è per lui un dialogo costante e una continua messa in discussione. Quando parte per una missione in Togo, la sua vita prende una nuova direzione: qui vivrà non soltanto la stagione della scoperta dell'altro, di una religiosità vivace e ancestrale, sperimentando il peso del suo credo e dell'ambiente culturale da cui proviene, ma scoprirà soprattutto l'amore, grazie a Nives.
Nives è l'altra metà, Nives è la radice e il fiore di ogni pianta incontrata sul suo cammino, è l'esperienza, il futuro. Con lei, Faustino fa prova della gioia e del dolore, percorre strade inedite e insperate, fino a quando quella felicità inesprimibile non trova un ostacolo duro, violento, definitivo. Un romanzo non convenzionale che ci restituisce il ritratto di un uomo pronto a rivedere ogni credo e ogni certezza, ma anche e soprattutto capace di scoprire il sacro in ogni più piccolo aspetto della vita, di decifrare la lingua dell'altro, di mettersi al servizio del destino e, ciononostante, continuare a combatterlo.
L’autore
Andrea Salonia
Nato a Como nel 1971, è professore ordinario di Urologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Il suo romanzo d’esordio, Domani, chiameranno domani (2017), candidato al premio Strega e vincitore del premio Letterario Brianza 2018, è stato una sorpresa, per la critica e per i lettori.
Editore: La nave di Teseo
Collana: Oceani
Anno edizione: 2020
In commercio dal: 12 novembre 2020
Pagine: 464
EAN: 9788834605127
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Odiodio, Andrea Salonia per La nave di Teseo
Primavera
Uno
Sono nato il 20 di aprile, appena smesso di piovere.
L’Inter perse coi Gobbi quella domenica, e per la prima volta in panchina c’era Frank Pedersen, sostituiva Giuseppe Bigogno, esatto esatto da quella giornata del campionato. Deve essere che la transitorietà delle cose mi fosse entrata nel sangue da allora, insieme all’inquietudine. In squadra i nerazzurri erano ancora più italiani che gente di fuori. In porta: Matteucci.
C’era anche l’argentino, Antonio Valentín Angelillo, arrivato dal Boca Juniors, il miglior marcatore. Era nato a Baires, come tanti figli di italiani emigrati perché il denaro per riempiere le bocche non bastava mai, e il cibo era così poco che non faceva neppure in tempo a cader giù nello stomaco. Angelo Moratti era il nostro presidente.
Il giorno che son nato nonno Aurelio era ubriaco, cosa che si è poi ripetuta anche per il mio battesimo; così l’aveva sostituito in tutta fretta zio Ottorino, zio per parte di mamma, che non aveva bevuto.
A nonno Aurelio piaceva il rum, come ai pirati. Aveva una donna nuda tatuata sul braccio destro, e la sua donnina pittata si piegava per far cose sporche ogni volta che nonno contraeva i muscoli. Era una donna a grana grossa, puntinata in fucsia, nero e blu, il blu solo negli occhi. Nonno se l’era fatta nel porto di Santos, in uno dei tanti transiti tra l’Argentina e il Brasile, e da qui a Cartagena delle Indie.
Era partito per mare a diciotto anni e due settimane, imbarcato sulle navi mercantili, per cercar fortuna – diceva – e scappare dalle cinghiate del padre. Non parlava portoghese, e non si sapeva certo ben spiegare; l’artista aveva parecchio rum in corpo – l’avevano bevuto insieme, lui e nonno – e saranno state le poche spiegazioni ricevute, la sensualità del profilo femminino o i fumi dell’alcool, tant’è che il nostro si era lasciato prendere la mano nel disegnargli l’avambraccio e in mezzo alla signora aveva messo tanto di quel nero che sembrava proprio un buco, e fin profondo.
Nonno faceva il falegname, prima di essere mangiato dalla pancia delle navi. Amava il legno, forse più di ogni altra cosa. Non era andato a scuola, ma sapeva scrivere il suo nome: a lui i conti quadravano sempre.
Era il padre di mio padre, e nel ‘36 aveva fatto ritorno dalla campagna d’Africa con una scimmia sulla spalla. Guendalina, così si chiamava. Deve essere che la stranezza mi è venuta da lì, almeno in parte.
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