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Affari Europei
Anti-gay e anti-immigrato: ecco il programma di Farage e dello Ukip

A differenza di Beppe Grillo, Nigel Farage è un politico di professione. Ed è un politico di lungo corso. Ha cinquant’anni appena compiuti, ma è un attivista dai tempi del liceo. Nel partito conservatore, all’inizio, poi la rottura nel 1992. Il premier John Major, successore della Thatcher, firma insieme agli altri leader europei il Trattato di Maastricht. Tra i tory si apre una frattura. Un professore di storia internazionale della London School of Economics – Alan Sked, già membro del think-tank conservatore Bruges Group – fonda la Lega anti-federalista. Da quel nucleo nel 1993 nasce lo Uk Independence Party.
 
Nigel Farage - come scrive Europa - non ha neanche trent’anni: è il figlio di un broker della City, di origini tedesche e ugonotte, nato nel ricco sudest inglese. Ha lasciato gli studi dopo le superiori per seguire la carriera del padre. Un uomo pratico più che colto. Quando nasce lo Ukip, Nigel è lì.
 
Ma dagli early days della polemica contro Maastricht, il partito ne ha fatta di strada. Le elezioni europee sono da sempre il suo punto di forza. Nel 1999 piazza tre eurodeputati, tra cui Farage. Nel 2004 fa il botto, scavalcando i liberaldemocratici al terzo posto: 16 per cento, dieci parlamentari. Ma alle elezioni politiche gli euroscettici non mantengono mai le promesse. Un per cento, due per cento. Fino all’arrivo di Farage alle leadership, nel 2006.
 
La svolta: contro la Casta
 
Quando Farage diventa leader, sembra impossibile replicare il successo del 2004. Ma la campagna elettorale del 2009 è la tempesta perfetta. Si gioca tutto su due temi. Il primo: il Daily Telegraph pubblica un’inchiesta sui rimborsi spese di una serie di parlamentari britannici, di tutti i partiti. C’è di tutto: dagli affitti delle case di villeggiatura all’“isola delle papere” nel giardino di un parlamentare conservatore.
 
Si scatena un pandemonio. Le date sono importanti: il primo articolo del Telegraph è datato 8 maggio. Per tutto il mese continuano a uscire rivelazioni sulle bollette dei parlamentari a spese dei contribuenti. Farage cavalca la campagna mediatica. Il suo partito è “puro”, è estraneo all’establishment. È ora di restituire la politica agli “onesti”, dice. Il 4 giugno si va al voto per le Europee. Farage ottiene il 16 per cento. Ripete il successo del 2004. Anzi, lo migliora. Il Labour di Gordon Brown, al termine del decennio blairiano, è in crisi nera. Lo Ukip lo scavalca: secondo posto, dopo i conservatori. Una rivoluzione.
 
Immigrati di serie A e di serie B
 
Ma gli inglesi, nel 2009, hanno una seconda priorità. L’immigrazione. In un paese multietnico come la Gran Bretagna, l’inizio della crisi economica rende il clima ostile verso i nuovi immigrati. La stampa di destra attacca i laburisti per esser stati troppo “flessibili” nell’accettare nuovi accessi. Lo Ukip si appropria del tema, e capitalizza in termini di voti.
 
Facciamo un salto in avanti, di cinque anni. La questione dell’immigrazione è ancora centrale alle Europee del 2014. Stavolta è chiaro a tutti che Farage può solo confermare il risultato del 2009. Parte una campagna politica e di stampa potentissima contro il leader dello Ukip. Una campagna che usa la sua vita privata per smontare le sue tesi politiche.
 
Farage è sposato in seconde nozze con Kirsten Mehr, tedesca, nata ad Amburgo ed ex broker come il marito. La coppia ha due bambini (Nigel ha due figli anche dalla prima moglie), con la doppia nazionalità britannica e tedesca. In campagna elettorale Farage se la prende di continuo con l’“invasione” di stranieri in Gran Bretagna. Spiega di sentirsi a disagio quando in metropolitana sente solo lingue diverse dall’inglese. Dice che se un gruppo di romeni si trasferisse alla porta accanto, si sentirebbe a disagio. E viene massacrato dai media. Anche i tuoi figli parlano un’altra lingua, il tedesco: che c’è che non va? E anche tua moglie è una europea trasferita nel Regno Unito: cos’ha di diverso dai romeni?
 
Lui va in imbarazzo, un po’ balbetta, ma alla fine il programma elettorale del partito è piuttosto chiaro: sì all’immigrazione “qualificata”, quella di laureati di qualsiasi nazionalità, no ai “parassiti” che rubano posti di lavoro alla povera gente. La linea della xenofobia viene varcata in più di un’occasione. Farage è di destra? Lui risponde di sentirsi post-ideologico, «oltre la destra e la sinistra».
 
I partiti rivali provano a infilare il grimaldello nelle incoerenze di Farage sull’immigrazione. Gli danno del razzista. Ma gli elettori non sembrano curarsene: 27 per cento dei voti, primo partito britannico.
 
Il cortile di casa e il mondo
 
Il segreto del successo di Farage non è solo la capacità di usare le paure degli inglesi – la paura dello straniero, la paura dell’Europa oppressiva – a suo favore. Nei cinque anni che ci separano dal voto del 2009, la classe politica dello Ukip penetra in profondità nelle amministrazioni locali. Vincono un’elezione amministrativa dopo l’altra: oltre all’immigrazione, sono costretti a occuparsi di problemi concreti. Sicurezza, riduzione della pressione fiscale. Il loro programma politico non è più limitato alla issue dell’Europa, da cui erano partiti nel 1992.
 
Eppure è l’Europa della grande crisi il palcoscenico su cui Farage diventa un politico di rilevanza internazionale. Come capogruppo di “Europa della democrazia e delle libertà” (insieme alla Lega Nord), si fa notare per una serie di invettive anti-austerità. Attacca gli «eurocrati» non eletti da nessuno, attacca il governo di Mario Monti e quello greco di Antonis Samaras, «schiavi della troika» e della grande finanza internazionale. È a quel punto che viene notato dal Movimento 5 Stelle, che lo intervista sul blog di Beppe Grillo.
 
Ma Farage guarda anche oltre i confini europei. Prende posizione contro l’ipotesi di attacco occidentale alla Siria, critica il suo governo per il sostegno dato ai ribelli estremisti. Dice anche di essere disposto ad accogliere i profughi siriani, provocando la reazione sdegnata del suo partito (che lo costringe a fare marcia indietro). Se le prende con l’Europa che ha «le mani sporche di sangue» per aver fomentato le ribellioni in Siria, Libia e Ucraina. Poi, in campagna elettorale, alla domanda su quale sia il politico che ammira di più, risponde: «Vladimir Putin. Per la sua abilità, non come uomo». Per la capacità geopolitica, non certo per le limitazioni alla libertà di opinione.
 
In bocca a un politico britannico, è una frase che segna un’epoca. Tanto più che Farage è il leader del partito più votato del Regno (anche se solo in un voto europeo). Se Grillo accetterà l’alleanza con lui, sarà una scelta che va oltre gli equilibri parlamentari di Bruxelles.
 

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