Roma cade a pezzi. Manutenzione la grande assente, aspettando la prossima vittima
Se dovessimo puntare il dito a caso, temo che scopriremmo che da decine d’anni ci sono palazzi e costruzioni di vario tipo che non sono sottomessi alla manutenzione ordinaria
Roma, manutenzione la grande assente. Aspettando la prossima vittima
La tragica morte di Octay Stroici, l’operaio di origine romena vittima del crollo alla Torre de’ Conti a Roma, ha finito per riproporre il sacrosanto tema della sicurezza sul lavoro; ma forse ha oscurato la delicatissima questione della conservazione e dell’uso di immobili storici e della loro necessaria e continua manutenzione.
Nel caso specifico si è appreso che da quasi vent’anni – dal 2006 – l’edificio era stato sostanzialmente abbandonato, senza alcuna forma di manutenzione conservativa, nonostante che il Comune avesse certificato, già allora, che la struttura fosse molto fatiscente, e che alcune porzioni interne della torre erano crollate.
Il patrimonio storico e archeologico di Roma probabilmente non ha eguali al mondo. Non abbiamo dubbi che tutto sia stato catalogato e rubricato, ma con la stessa certezza potremmo scommettere che l’abbandono cui è stato lasciata la Torre de’ Conti non sia un’eccezione. Se dovessimo puntare il dito a caso, non tanto e non solo nelle aree più evidenti – dove peraltro è insediata la Torre semi-crollata – temo che scopriremmo che da decine d’anni ci sono palazzi e costruzioni di vario tipo che non sono sottomessi alla manutenzione ordinaria.
La situazione è analoga all’abbandono cui sono lasciate le aree verdi e il patrimonio boschivo e forestale nell’area del Comune di Roma. Occorre sempre una tragedia – un ramo spezzato da uno dei pini sulla Cristoforo Colombo che colpisce e uccide un motociclista o un vecchio olmo che si abbatte su una passante a Monteverde – per avviare controlli, potature, sradicamenti che non vengono mai rimpiazzati, impoverendo il patrimonio di quella che era una delle città più verdi d’Europa. In un solo anno si sono contate 1000 piante crollate a terra: in 600 casi hanno prodotto danni più o meno gravi, tanto da aprire altrettanti fascicoli di indagine in Procura.
Gli alberi sono esseri viventi che nascono, crescono e poi muoiono, stroncandosi a terra. Gli edifici per arrivare al crollo hanno quasi sempre bisogno di una sollecitazione, in assenza della quale basta circondarli con transenne e nastri rossi per allontanare curiosi o passanti. Ma nel caso del patrimonio immobiliare storico e archeologico gli effetti della mancata manutenzione, o dell’incompetenza tecnica negli interventi – lamentata esplicitamente dall’archeologo Andrea Carandini, uno degli archeologhi più esperti della storia di Roma, ex presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, ex presidente del Fai, nel caso della Torre de’ Conti – non produce subito i suoi effetti tragici.
Ogni 25 anni, per un Giubileo, o quando capita un grande evento sportivo, si scoprono risorse che inducono una frenesia interventista per alcune delle porzioni di questo immenso patrimonio. In questi anni, fino al 2026, abbiamo anche avuto l’ubriacatura del Pnrr, che ha iniettato denari nel sistema economico nazionale, che pur di essere spesi spesso vengono spesi male.
La manutenzione ordinaria – quella che farebbe il buon padre di famiglia in casa sua – non può contare sull’eccezionalità delle risorse, né sull’estemporaneità di molti progetti, che magari si inventano ascensori e roof garden in edifici progettati e costruiti per essere percorsi a piedi, su scale strette e scomode, qualche secolo fa.
Se a questa incostanza colpevole si aggiunge poi la frammentazione delle responsabilità, la frittata è fatta. E’ lo stesso Carandini a ricordare la moltiplicazione delle responsabilità nel controllo e negli interventi sul patrimonio storico e archeologico della Capitale. Alla Soprintendenza statale, Roma aggiunge in deroga la sua Sovrintendenza (una “p” e una “v” fanno una inquietante differenza), l’ufficio comunale che si occupa della tutela dei luoghi di interesse archeologico e artistico, il che finisce per complicate e rallentare le decisioni e farle assumere in modo incoerente.
Un Paese normale ha bisogno di una attenzione normale, costante, continua rivolta al bene comune, che è fatto di un patrimonio spesso ineguagliabile, che viene abbandonato in modo del tutto irresponsabile. La manutenzione costa, certo. E qui deve sopravvenire una riflessione laica, pragmatica quanto irrimandabile, sulla collaborazione tra pubblico e privato.