E’ bello, elegante, essenziale, metaforico, come una nave sottile che solca territori, che ci hanno raccontato l’orrore di una tragedia che difficilmente riusciremo a dimenticare, e che è servita anche per ricordare la nostra capacità tutta italiana, di trovare orgoglio, forza e costruzione di futuro.
Il ponte di Genova è molto diverso da quello crollato, dal tempo che l’ha generato e dalle antiche stagioni ne avevano visto lo splendore, nelle estati di un boom che troppo lontano ci appare, eppure così capace di legarci alla nostra vecchia e nuova responsabilità, che troppo spesso ci ha impedito di godere delle grandi capacità che siamo in grado di esprimere.
Una classe dirigente, nuova Conte e i suoi ministri, si sono stretti su quella sottile lingua di terra insieme al Presidente Mattarella, per ricordare, e per celebrare, tra vento, arcobaleni e nuove volontà di trovare un colpevole che non siamo mai riusciti a rintracciare, pur conoscendoli, pur avendoli visti troppe volte usare il nostro paese come una proprietà privata.
Non è troppo lontana dalla realtà quella parte di paese ferita, quasi sempre colpita, superba nella sua bellezza, ma sempre vittima di una inciviltà che non possiamo più sopportare, che non vogliamo più condividere.
Quel ponte è la nostra antica e mai sopita volontà di ripartire, di andare lontano verso un paese civile, molto oltre la sua capacità esprimere ingegneria civile.
Gli sguardi nel vento dell’inaugurazione erano attoniti, sgomenti, tra abbracci filtrati e grandezza delle nostre eroiche maestranze che inorgogliscono e inumidiscono gli occhi dei nuovi e vecchi potenti che vogliono risposte e sperano di ritrovare la bellezza di un paese ferito.
E nuove volontà condivise, di opere che non potranno cancellare quello che siamo stati capaci di distruggere ma che non riusciremo a relegare soltanto nell’altarino sbiadito dell’ennesima tragedia quotidiana.
Ci siamo tutti su quel ponte, lo abbiamo attraversato tutti, quella lingua di cemento, e per un momento abbiamo sperato che l’orgoglio della nostra Opera potesse farci ricordare quante volte abbiamo deciso di essere indegni di questo paese, di non riuscire a concepire alcuna forma, anche marginale di Etica, di non poter condividere quell’Estetica che avrebbe potuto renderci grandi e che quasi ogni giorno ci ricorda quanto siamo stati capaci di bellezza.
Renzo Piano ci ha chiesto di adottarlo questo ponte e ci ha ricordato della difficoltà di far dimenticare l’enorme ferita che ha colpito al cuore la sua città, e il nostro Paese, e dunque possiamo solo aiutare ad elaborare il lutto di quelle perdite, di quelle troppe tragedie che i nostri cittadini devono quotidianamente condividere, senza speranza di espiazione per i responsabili e senza possibiltà di conforto per nessuno.
Eccoli i nostri nuovi e vecchi potenti, guardare l’abisso delle consuete distruzioni, con una nuova volontà di ri-costruire, un’idea diversa di futuro, un’immagine forte di società capace di regalare ad ogni genovese (e italiano) la certezza di nuove sicurezze, di inaugurazioni al riparo da troppe incertezze.
Dopo aver tolto il tappeto rosso rimane l’amarezza per non aver potuto salvare quanti avrebbero potuto essere salvati, troppi che hanno pagato per errori che altri avrebbero dovuto valutare, per questo un ponte è un gesto d’amore e solo per questo, questa bella opera di ingegneria merita di essere accudita e coccolata.
Di essere semplicemente amata.
Il buono, il brutto e il cattivo
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