Coronavirus, la banalità del male e la quotidianità del Covid-19
Nell’evolversi del male oscuro, si ingigantiscono difetti e meriti, e nell’ennesima battaglia per la conquista della ragione di parte, la Ragione perde sempre
Le strade sono deserte, il silenzio ci ha aggredito alle spalle come un compagno di vita inaspettato.
Milano guarda sgomenta lo strazio di piazze, uffici e ristoranti vuoti, inutili senza la presenza umana, spettrali architetture abbandonate.
La psicologia ha avuto più effetti della patologia, si guarda verso un orizzonte che non riusciamo a decifrare, e intanto le nostre abitudini sono cambiate, i rapporti annullati, lo scambio di emozioni sospeso fino a data da definire, come la chiusura delle scuole.
Nell’evolversi del male oscuro, si ingigantiscono difetti e meriti, e nell’ennesima battaglia per la conquista della ragione di parte, la Ragione perde sempre.
Sappiamo bene che nell’emergenza i migliori migliorano e i peggiori, peggiorano, e ovviamente il mondo politico, quello che dovrebbe governare la crisi, alterna fasi macchiettistiche a momenti quasi encomiabili.
E qui dobbiamo rendere merito al Presidente Conte che è riuscito nell’impresa di non perdere la testa tra legioni partitiche e acefale, che hanno creato minoranze anche sull’utilizzo del tampone, e sulla distribuzione regionale dei contagiati.
Ma che la città più veloce d’Italia abbia subito questo colpo letale, inquieta, avvilisce ma ci consente di riflettere sulla effettiva fragilità del sistema, di una apparente complessità che non può sopportare nessuna anomalia, se pur imprevedibile e planetaria come il covid-19.
Un global virus che colpisce local e mette a dura prova le evidenti vulnerabilità del sistema economico occidentale.
La sua dipendenza da altro e altri mercati, una interconnettività produttiva che è diventato una condizione vincolante che ci rende legati a troppe variabili indipendenti.
Nel silenzio della nostra città c’è tutta un’identità che è stata scambiata per un benessere così fragile che il flusso di denaro che la sosteneva è scomparso in un pomeriggio di febbraio, e lo shock conseguente ha traumatizzato non solo i consumi ma i caratteri, una visione della vita che finalmente ritrova la sua giusta dimensione, nel dolore, più umana.
Qualcuno ha capito, molti hanno capito che c’è qualcosa che non si può controllare, banche, fondi d’investimento e fusioni tra marche automobilistiche, devono fare i conti con la violenta reazione della natura, ancora, forse troppo debole, ma che aiuterà nel dialogo con la propria coscienza.
Il mondo globalizzato impone un’interdipendenza pericolosa dove gli “schiavi planetari” possono condividere un piccolo benessere,ma accettano di essere esposti ad un male che non si può controllare.
Arriverà il vaccino e il mondo occidentale ritroverà la strada, la Cura al suo male contingente, ma non vincerà le sue paure, l’instabilità e il sospetto verso tutto e verso tutti, perché Milano è una metafora fragile della contemporaneità occidentale, tutta proiettata verso un futuro che guarda sempre meno al suo passato.
Tra futuro globale e passato locale, vince sempre il primo, perché nel bene e nel male tutto il mondo, un tempo civilizzato, ci si ritrova,e basta dargli lustrini e nuovi giocattoli tecnologici per farli credere che l’uomo è immortale. Finché vive.
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