Fabio Fazio e la nobile arte della piaggeria
Fenomenologia di un principe del nulla contemporaneo, amico dei potenti, funzionale alle esigenze del potere, mai scomodo, non gentile ma servile
Ha la faccia del bravo ragazzo, quasi un nerd, studioso liceale, di quelli che piacciono alle mamme perché non tradiscono le future spose.
E’ partito dal cabaret, dalle imitazioni, dallo spettacolo leggero per poi fare il grande salto, ovviamente senza alcun rischio, nel mondo dell’intrattenimento della chiacchiera che, da una decina d’anni, ha sostituito il giornalismo, in tivvù.
Parla a gettone e si prepara scientificamente, si fa dare lezioni di seduzione da Mr.Been, e considera Saviano uno scrittore, anzi, un grande scrittore.
Nessuno sfugge alla sua rete retorica, alla melassa soporifera cui costringerebbe anche il capo di Al Qaeda, pontifica, imitando Vespa e pensando, poveri noi, che quello sia un luogo mediatico di imparzialità.
Invece è il fortino conservatore delle rendite di posizione, dell’establishment che gioca con il volgo, col popolo bue che ride alle sue battute da avanspettacolo, che sguazza nella prevedibilità.
Meglio la tv in bianco e nero delle veline di Stato che questa finta libertà d’espressione a senso unico, sempre rivolta all’esaltazione dell’idolo di turno, sempre per una certa area politica, sempre capace di interpretare l’antica parte del Megafono del Potere, uno strumento neutro, pronto ad assistere tutti i Padroni.
A un milione di euro al mese, lordi.
Diranno che serve alla RAI, io dico che serve al suo 740, che invidiamo molto, e ci piacerebbe che lo schieramento di parte, di cui le televisioni commerciali sono maestre, non venisse considerato un atto immorale, ma almeno non facciamo le vergini in quel bordello.
Fazio Fabio è l’immagine di questo stato gattopardesco che sopravvive alle sue rovine culturali, intellettuali e politiche, il custode del giardinetto mediatico dove i vecchi pensionati alla Bersani possono giocare con i nipoti del PD, e la poli-marchetta cinematografica delle produzioni amiche, avrà sempre spazio sulla poltrona incatenata.
In effetti “che tempo che fa’” racconta un paese che non esiste, dove tutti sembrano buoni, dove ognuno dovrebbe aver capito quanto valga Cottarelli, Zoro, la super-attrice prezzolata, o il fantasma politico di Adriano Celentano, un luna park dell’ovvio che non prevede scontri, alterchi, due ore rassicuranti per conciliare il sonno agitato degli italiani.
Fazio Fabio non ci piace perché oltre alla celebrazione ipocrita del “famoso” è campione del servilismo che ha ridotto in schiavitù il sistema mediatico italiano e i suoi spettatori, che vada avanti con Volo, e gli altri della Banda Ovunque che invece di farci ridere dal palco del vecchio cabaret, pensano di poterci spigare il futuro del paese, e della politica. Non ne abbiamo bisogno, ci teniamo le nostre idee, e le nostre rabbie, senza il bagliore accecante della telecamera.
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