Genova, la fine del Ponte Morandi nel ricordo del boom economico
Oggi finisce l’era dell’ottimismo cominciata con la calda estate del 1967
Probabilmente all’ing. Morandi, visionario progettista di viadotti e ponti e tante altre architetture non sarebbe piaciuto leggere quello che nell’ultimo anno ha intasato le pagine dei quotidiani in seguito alla tragedia di Genova dell’agosto scorso.
Già perché quello del Polcevera rappresentava il classico vanto dell’ingegno italico (come recitavano i cinegiornali dell’epoca), e la struttura stessa era la metafora di un paese ottimista, inarrestabile, lanciato velocemente verso un futuro di benessere diffuso,di spiagge affollate e di certezze sulla crescita economica di ogni cittadino.
Dunque il ponte che oggi, dopo cinquanta anni viene fatto brillare, conclude quella grande parentesi, dove si sono alternate almeno quattro epoche, gli anni sessanta, dicevamo, gli anni settanta della crisi improvvisa, gli anni ottanta dell’edonismo e poi via via sempre più verso gli scivolosi e “instabili anni che stiamo vivendo.
Riccardo Morandi non ha colpe per il crollo, ma è la vittima dell’incapacità tutta nostrana di preservare la bellezza che produciamo, l’ardire e la visionarietà dei vari sognatori come lui, si scontrano con la miopia di chi dovrebbe garantire l’eternità all’Opera prodotta. Siano Autostrade d’Italia, sia Pubblico, sia Privato.
Il Paese non riesce a coccolare la sua arte, la sua scienza, non è capace di rendere merito a chi ci ha resi grandi, a chi ha prodotto bellezza, ricchezza, estetica.
E questo vale per un ponte, per un castello, per un palazzo per un giardino, la coscienza civile che tanto si mobilità in altri ambiti, non è mai incisiva quando si tratta di conservare, una spiaggia, un parco o una collezione d’arte contemporanea.
Molte sono, ovviamente, le realtà private e volontaristiche che sopperiscono alla mancanza di una visione pubblica, ormai consolidata nel tempo, come se l’enorme quantità di capolavori fosse metabolizzata nell’indifferenza della deperibilità: lo Stato non è mai stato e per ogni delitto estetico non si trova mia il colpevole.
Con la polvere di quel ponte, finisce un'era che effettivamente ci sembra molto lontana, dove tutto sembrava splendere e funzionare, dove ogni opera disegnava un futuro sociale luminoso, nell’idea di un Paese che aveva chiara la strada dove andare, e sapeva costruire benissimo questo percorso sociale e politico
Quello che rimane, fuor di metafora, sono le tante vittime dell’insipienza e la rabbia compresa di quanti non riescono a veder più nulla oltre alle dichiarazioni d’intenti, oltre alla nebbia che non dipende solo da quello che rimane del crollo del ponte.
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