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Il buono, il brutto e il cattivo
Mughini attacca la povera Desirée: il cattivo maestro è solo cattivo
LaPresse

Giampiero Mughini, mugugna, miagola, ghigna, si arrabbia, sbotta come una maschera teatrale, poco comica. Veste come un adolescente strafatto e stiloso, ma ormai vicino agli ottanta, ma ormai destrissimo dopo averle viste tutte, ma chi lo ascolta più?

Cerca da sempre di rompere i coglioni sulla sua Juventus, dando giudizi pseudo-tecnici tranchant, anche se dubito abbia mai tirato un calcio ad un pallone, lui che è sicuramente un pallone gonfiato, sgonfiato e  prestissimo scoppiato per l’eccessiva aria che pompa inutilmente dai polmoni.

Parla di tutto e su tutto dai bikini di BB, alla supremazia del vinile sul cd, alla bontà della lotta continua, e di quanto erano belli e dannati in Piazza del Popolo o in qualche superattico delabrè, tra tossici, ma di qualità e puttane, ma d’alto bordo.

C’erano tutti quando Lui era uno dei reucci della non ancora spaventevole Roma, città accogliente, indulgente, caciarona e cialtrona, dunque il luogo perfetto per l’intellettuale siculo pronto a far deflagrare il suo ego, ed infatti lui diventa tutto, ma non il contrario del niente che sarebbe rimasto di quella sopravvalutata stagione.

Schifano, Festa, Angeli, e Lucrezie Lante, e tanta tanta droga, poi ognuno cercò di ripulirsi, tranne Pierpaolo, l’unico martire mal sopportato, perché l’unico vero.

Loro che puntavano alla filigrana e si abbuffavano su giornali, tivvu, e altre amenità che producevano, belle case e redditi interessanti, ma che il nostro spende acquistando 20.000 volumi, in settanta anni ci sono meno di cento mesi, e dunque tremila, quattromila giornate, se li avesse letti tutti avrebbe dovuto divorarne 5 o 6 ogni giorno, dunque basta comprarli e farli ammirare.

Ora da qualche decina d’anni è famoso per la giacche da Arlecchino o Balanzone, per una serie inguardabile di occhialetti da lettura che aggiungono spocchia a spocchia, perché anche se parla ormai solo di rigori e fuori gioco dubbi, lui rimane un principe delle lettere, uno cui si perdona ogni cazzata che, con grande generosità l’odiata tivvu del berlusca, gli paga.

Dunque rai-canalecinque purchè si opinionizzi qualsiasi prevedibile inutilità, ma non basta.

Per fare la parte dell’anti-Sgarbi dunque bisogna spararla grossa e dunque la mannaia cade su un bersaglio facile, la piccola Desireé, mini-tossica e mini-prostituta che se l’è cercata come dire siccome la mamma di Billie Holiday era una prostituta pure la figlia che poteva fare?

Bravo.

Mughini ha giustificato lo stupro-omicidio peggio di quelli che considerano un’attenuante la minigonna o il vestito succinto, e non solo si dovrebbe vergognare (ma non lo ha fatto per ben altri terribili fatti di sangue che il suo giornale celebrò), ma perché denota la totale assenza di argomenti, di capacità di analisi, un livore senile unito al rincoglionimento probabilmente, visto il suo abbigliamento.

Prima della fine, ci dica di chi è la colpa, ma la smetta di continuare ad interpretare lo spettro di se stesso, dribbling, o il processo al calcio non sono commedie di Shakespeare e più che un attore sta diventando un guitto, proprio come quelli che denigra, il suo passato se lo tenga stretto ma lasci perdere la contemporaneità perché si capisce che non la capisce.

Desireé è morta nell’inferno delle nostre città indifferenti e sorde, e  non è roba sua, non ne riconosce le dinamiche perché il boom è finito da tempo, perché Mughini rimane un personaggio da commedia all’italiana anche se non sbaglia un congiuntivo, e questo lo rende ancora più odioso, perché non è neppure un cattivo maestro, è rimasto semplicemente cattivo.

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