Strasburgo, vittime e carnefici nell'Europa dei sensi di colpa
Due ragazzi a Strasburgo. Vittime e carnefici nell’Europa dei sensi di colpa, tra negazione delle identità e la malattia dell’integrazione
C’è qualcosa di tragico che unisce due giovani, nati in Europa ma segnati da destini così diversi che sembra impossibile, ma oggi cosa è impossibile? Che la morte li abbia uniti nel suolo simbolico del centro d’Europa.
A Strasburgo non muoiono solo due ragazzi così diversi, e ovviamente uno carnefice, l’altro agnello sacrificale di una politica miope, debole, incapace di capire rabbie e violenze diffuse, refrattaria a dare senso alle identità e alle differenze, senza scivolare nella deriva del “tutto uguale, tutto si tiene, tutto si assomiglia”.
E’ stata un’esecuzione, senza pietà, un figlio della retorica terroristica e animalescamente legata alla violenza ha spento un sorriso, che è metafora di tutti i sorrisi di un’intera generazione che crede, esprime entusiasmo, si appassiona, e per fortuna ancora.
Un Italiano e un Francese di origine siriana o qualcosa del genere, e poi cosa importa se sei di una nazionalità vicina, o presunta lontana, contrapposti, due mondi che non riusciranno mai a dialogare.
Lo scenario si ripete con una logica che è ormai consuetudine, scie di sangue sull’asfalto, polizia in assetto di guerra (sempre dopo le stragi) e la sequenza immonda dei commenti prezzolati, molti, e inutili, quasi tutti.
Non sappiamo più spiegarci il nostro incamminarci verso questo abisso, un tempo comune, oggi matrice di egoismi, paure, sopportazioni, che una classe politica intera ha fatto finta di non vedere, di non sentire, e ne ha restituito un’immagine virtuosa e virtuale di integrazione, di scambio estetico tra culture così lontane, e sempre più espressione di odi e violenze sovrapposte.
I due ragazzi, assassino il primo, vittima il secondo, forse s’erano incrociati vicino al Castello dei Principi d’Europa, ma per opposti motivi, da un lato il buio della volontà di distruzione, di annientamento, un progetto di paure, di spaventose volontà di vendetta, casuale e quindi più orribile, l’altro perché immaginava una casa comune per tutte le contraddizioni di tutti i popoli di un’Europa, oggi soltanto bancaria, che non è, e mai sarà politica.
Ora su quelle rovine, sempre più ingombranti di un continente alla deriva,scevro da guerre ma sempre più incapace di raccontarsi, di definirsi, di ricordare, di creare una dialettica politica tra ciò che siamo stati e ciò che vogliamo essere.
In questa semplice idea di futuro non ci deve essere alcuna tenerezza strategica e di convenienza per il carnefice,ma qualche spiegazione ai morti, gli ennesimi innocenti sacrificati sull’altare del bluff buonista, la dobbiamo.
Altro che Presepe o Canto di Natale, qui è in gioco la nostra capacità di cambiamento, la nostra volontà di riformismo, di creare una cultura libera e liberata, che mai potrà allinearsi alle decapitazioni, ai burqa, ai rituali abominevoli che il nostro senso di colpa millenario ha cercato di europeizzare.
E’ vero siamo stati i maestri del massacro, delle persecuzioni, del colonialismo barbaro, dello schiavismo, teorici di ogni razzismo, ma oggi, nel terzo millennio, dopo aver chiesto scusa all’umanità, perché dobbiamo scendere al livello di civiltà che non hanno più nulla della loro originaria grandezza e bellezza?
Prendere a martellate statue romane, greche antiche e far sparire Palmira, è il prezzo da pagare, migliaia di morti innocenti sul selciato dei nostri lungomare, o sagrati, bastano?
Bene ma ora qualcuno vorrebbe mettere sullo stesso piano quei due ragazzi di Strasburgo, morti, certo e dunque pietà per i morti,ma l’intelligenza, la cultura e la bellezza non possono convivere con la più alta espressione delle loro reciproche negazioni.
Accettare questa semplificazione, anche per convenienza politica è la più alta forma di razzismo, di conformismo, un incivile rincorsa verso il baratro della barbarie.
Non lo permetteremo.
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