La senatrice Kamala Harris, candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti, durante il dibattito di ieri sera con Mike Pence, ci ha spiegato che l'accordo con l'Iran stipulato da Obama nel 2015 era buono, molto buono, e che esserne usciti ha reso il mondo meno sicuro. Certamente. Fornire a un regime con intenzioni genocide nei confronti di Israele e con una praticata politica espansionista in Medioriente, un miliardo e ottocentomila dollari per finanziare la propria arrembante politica estera e la propria rete terroristica internazionale, differendo solo di una decina di anni il momento in cui potranno avere finalmente l'atomica, è stata un'ottima idea.
Ci è voluta la determinazione di Donald Trump per fare uscire gli USA da questo accordo, e, in seguito, per imporre sanzioni economiche draconiane che hanno portato il paese al collasso finanziario. Ci è sempre voluto Trump per ordinare l'uccisione del mastermind del terrore iraniano Qasem Soleimani, mostrando agli iraniani, e alla loro tracotanza aumentata dalla politica di distensione di Barack Obama (ce lo ricordiamo tutti John Kerry, quando, dopo che dei marinai americani vennero sequestrati dai militari iraniani e fatti fotografare in ginocchio sulla plancia della nave con le mani dietro la nuca, correre a Teheran per genuflettersi agli ayatollah chiedendo il loro rilascio), che faceva sul serio.
Ma per la senatrice Harris, Trump avrebbe abbandonato gli alleati tradizionali degli Stati Uniti per fare comunella con i dittatori. Curioso. Risulta agli atti che sia stato Obama a fare un accordo con il regime del terrore iraniano, assestando un colpo ben duro all'alleanza regionale americana con l'Arabia Saudita che dura dal 1945. Risulta agli atti che sia stato Obama a mettere costantemente nell'angolo Israele e Benjamin Netanyahu, firmando cambiali in bianco ad Abu Mazen e alla cleptocrazia palestinese.
Trump ha messo fine a queste aberrazioni. Primo presidente degli Stati Uniti che per Israele ha fatto passi mai compiuti dai suoi predecessori, dichiarando Gerusalemme capitale dello Stato ebraico, spostandovi l'ambasciata americana, dichiarando la sovranità israeliana sopra il Golan, togliendo i fondi all'UNRWA e all'Autorità Palestinese e decentrando quest'ultima dal suo ruolo dominante.
Alla senatrice Harris, quando il dibattito si è spostato sul Medioriente, tutto questo è sfuggito, perchè per lei, evidentemente, il deal sul nucleare iraniano voluto da Obama e smantellato da Trump, rappresentava il summum bonum.
Abbiamo già qui, chiaramente esplicitato, dalla candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti, l'approccio che verrebbe perseguito da una Amministrazione Biden.
Un ritorno al passato, ai vecchi assetti, un arretramento controriformistico, in cui, quasi certamente, relativamente a Israele, l'Autorità Palestinese verrebbe rimessa al centro della scena, e nei confronti dell'Iran verrebbe adottato un approccio più morbido. Non è un mistero per nessuno che per il regime di Teheran, una eventuale vittoria di Joe Biden sarebbe salutata con sollievo.
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