La colpa più grave e più imperdonabile dei 5Stelle è l’aver fatto volare in frantumi la fiducia collettiva nella possibilità del nuovo in politica. Nell’aver, cioè, dimostrato con la loro inqualificabile metamorfosi kafkiana che sotto il nuovo si nasconde già da sempre il vecchio, sia pure in diverso e più seducente sembiante. Dietro la maschera accattivante del movimento che avrebbe dovuto rovesciare le geometrie dell’esistente o, più prosaicamente, secondo la sua ittica espressione, aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, v’era ancora una volta il medesimo. Ossia la politica come mera continuazione dell’economia, a sua volta intesa e praticata come decisione autocratica dei mercati e delle loro classi di riferimento: anche così potrebbe definirsi, in effetti, il liberismo come nuova ragione del mondo. Di per sé è poca cosa la parabola involutiva del Movimento: nato con un comico, si estingue comicamente. Nell’agosto del 2019, il Movimento si è disinnescato e decaffeinato. Ora, a nemmeno due anni di distanza, è evaporato. È diventato appieno ciò contro cui combatteva: ha aderito all’europeismo come decisionismo tecnico-repressivo di Bruxelles e si è spinto – è storia di questi giorni – ad appoggiare il governo dell’euroinomane più impenitente, l’ex Goldman Sachs Mario Draghi. Peraltro con un quesito sulla piattaforma Rousseau che stupisce per la sua regressiva formulazione tautologica: con la quale si presume che i militanti - trattati come un'uniforma massa di idioti - non possano fare altro che assentire, nella forma del plebiscito, al cospetto del nuovo governo Draghi. L’ondata di disincantamento e di delusione generata dai 5Stelle è e resta la loro colpa più grande, la più imperdonabile. D’ora in poi sarà ancora più difficile provare a entusiasmare gli sconfitti della globalizzazione, convincendoli del fatto che tutto è tremendo ma non irrimediabile. E che v’è ben altro al di là delle rovine dell’esistente pietrificato dallo sguardo medusizzante del liberismo. “Abbiamo già dato”, risponderanno verosimilmente, con rabbia e delusione gravide di buone ragioni, i dannati della terra. L’ordine dominante non avrebbe potuto chiedere di meglio. È il più grande servizio che gli si potesse offrire. Gli si è consegnato lo scalpo della speranza nella trasformazione possibile. Per questo, sarà ancora più arduo – e, non di meno, ancora più doveroso – lavorare per costruire il nuovo respingendo il vecchio e per decostruire la mistica della necessità che, da oggi, si è ulteriormente fortificata.
Diego Fusaro (Torino 1983) insegna storia della filosofia presso lo IASSP di Milano (Istituto Alti Studi Strategici e Politici) ed è fondatore dell'associazione Interesse Nazionale (www.interessenazionale.net). Tra i suoi libri più fortunati, "Bentornato Marx!" (Bompiani 2009), "Il futuro è nostro" (Bompiani 2009), "Pensare altrimenti" (Einaudi 2017).
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