Shakur Stevenson, 19 anni, è la speranza statunitense per la boxe a Rio 2016, dopo 12 anni di insuccessi. Campione giovanile 2013 e 2014, e già vincitore delle Olimpiadi giovanili due anni fa, per molti va accostato a Floyd Joy Mayweather, medaglia di bronzo ai giochi di Atlanta 1996 e campione mondiale in cinque diverse categorie di peso. Protagonista indiscusso del pugilato negli ultimi 15 anni. Per il nonno Wali Moses – lo scopritore del talento del ragazzo, nonché suo primo tifoso – Shakur ha tutto per imporsi agli occhi del mondo come il migliore: tempismo, velocità, fame. In Brasile – nella 56 kg - ha già fatto fuori il padrone di casa agli ottavi di finale, Robenilson De Jesus; poi, ieri, ha trionfato magistralmente sul mongolo Tsendbaatar Erdenebat, aggiudicandosi la seminale contro il più coriaceo Nikitin Vladimir, il russo che nessuno vorrebbe incontrare. Lui però ha dichiarato di voler tornare con la medaglia d’oro al collo: e giura che ce la farà. Riportando gli Stati Uniti, dopo l’impresa di Andre Ward nel 2004, sul gradino più alto del podio .
Shakur è il più vecchio di nove fratelli e ama calarsi nel ruolo del ”maggiore”. Viene da Newark (New Jersey) e ha iniziato con la boxe all'età di cinque anni. Il nome scelto dalla madre ha un significato preciso: nove mesi prima della nascita, il noto Tupac Shakur (un simbolo oltre l’artista) era stato colpito mortalmente da quattro colpi di pistola che hanno fatto - e faranno ancora – discutere, e per ricordarlo, la donna, Malikah, ripescò così la sua eredità. Perché la storia da cui gli Stevenson provengono è proprio quella tratteggiata dalle rime sferzanti dal rapper: gli States del razzismo, della vita nel ghetto, della povertà, della violenza di strada e della criminalità organizzata. Uno scenario a cui, nel tempo libero, Shakur è sempre rifuggito con lo sport. All’inizio col Baseball e la Boxe insieme, poi dai 13 anni, con l’intervento provvidenziale del nonno, solo coi guantoni attorno ai pugni.
Da lì in avanti i risultati non si sono fatti attendere e in meno di tre anni il pubblico ha cominciato a tenerlo d’occhio. Tanti colpi bene assestati, tanta voglia di dimostrare, 23 vittore su 23 incontri internazionali. Ma non è mai stata solo la voglia di vincere la sua forza; bensì il pensiero costante per le condizioni della famiglia. Il diritto e il dovere di occuparsene. La boxe è uno strumento per comprare casa ai familiari; che intanto ha portato a Rio con una raccolta fondi lanciata sui social. «Io sento di avere la responsabilità su di me», ha precisato recentemente. La sua stella nasce alle Olimpiadi giovanili a Nanjing in Cina (2014), quando si rese conto di dover ricevere la medaglia con le telecamere puntate ebbe un sussulto: aveva un brutto taglio di capelli e si vergognava. «Così ho nascosto la mia bandana dentro la tazza – ha raccontato – perché dicevano che non potevo indossarla. E una volta che hanno iniziato a suonare l'inno nazionale, l’ho messa». Bandana divenuta presto un marchio di riconoscimento per quel ragazzo spavaldo sul ring e timido davanti ai giornalisti. E non per questo intimorito dagli avversari.
Un passo falso sembrava averlo fatto l’anno scorso, in verità. Nei Trials Usa del dicembre 2015 fu sconfitto ai punti due volte da Ruben Villa, altro talentuoso 18enne e suo concorrente rivale. Prima del luglio 2016, arrivarono puntuali le critiche: qualcuno lo dava per bruciato. Invece, all’appuntamento per le qualificazioni con cui staccare il pass per le Olimpiadi brasiliane (poi ufficializzato negli incontri in Argentina) Shaker è tornato ad affrontare Villa, battendolo e vincendo il torneo di preparazione per la selezione degli atleti a stelle e strisce. Per sette mesi aveva tenuto l’immagine col pugno alzato di Villa come sfondo del telefono: per darsi la carica, e centrare l’obiettivo. Ora a Rio non vuole deludere: né i tifosi, né tanto meno la promessa fatta alla famiglia. E a chi gli domanda se sia pronto a passare a breve nelle file dei professionisti e si senta il nuovo Mayweather ,risponde: «No, sono solo il futuro Shakur Stevenson».