Uno studio di medici ricercatori sudcoreani, del Dipartimento di Medicina di Laboratorio della Seoul National University Hospital e della Seoul National University College of Medicine, pubblicato sulla Oxford Academic, cerca di spiegare perché le persone che si sono prese il Coronavirus nella prima ondata possono reinfettarsi nella seconda. La reinfezione può verificarsi con un diverso ceppo di SARS-CoV-2 e dipenderebbe dal Dna di ognuno.
“La reinfezione con un ceppo di SARS-CoV-2 geneticamente distinto può verificarsi in un paziente immunocompetente subito dopo il recupero da COVID-19 lieve. L'infezione da SARS-CoV-2 potrebbe non conferire immunità contro un diverso ceppo di SARS-CoV-2”. Queste le conclusioni della ricerca.
Ma gli studiosi sudcoreani non sono rimasti in superficie. Hanno provato ad entrare nel meccanismo che sta alla base della positività nuova dei pazienti risultati inizialmente guariti e testati più volte come tali.
Lo studio si è occupato di 6 pazienti, sottoponendoli a test diagnostici in conformità con le linee guida dell'Oms e ad un sequenziamento del loro intero genoma, in parole povere una mappatura del DNA.
I dati demografici e le caratteristiche cliniche dei pazienti studiati, età media 29,5 anni, anche se diverse (dai 17 a 72 anni di età), con 2 pazienti maschi, uno con rinite allergica e dislipidemia, ha permesso di generalizzare i risultati.
Si è notato ad esempio che l'intervallo tra la reinfezione e l'infezione iniziale era piuttosto breve, 26 giorni. Non è per però chiaro se lo stato positivo del paziente al secondo ricovero fosse correlato alla sua immunità adattativa contro l'infezione iniziale o alla risposta anticorpale durante la reinfezione. È stato dimostrato che i livelli di anticorpi che il nostro organismo produce aumentano 10 giorni dopo l'inizio dell'episodio di reinfezione del paziente. Ma questa dinamica degli anticorpi potrebbe essere la chiave per comprendere il perché della reinfezione.
“La maggior parte dei pazienti con COVID-19 clinicamente lieve può sviluppare anticorpi neutralizzanti contro il picco di SARS-CoV-2. Tuttavia, resta da determinare se questi anticorpi possano neutralizzare ogni ‘clade’ di SARS-CoV-2 e garantire l'immunità alla successiva infezione con questi virus mutati”, scrivono i ricercatori. In biologia un ‘clade’ è un gruppo di organismi che provengono dallo stesso antenato. In virologia i ‘clades’ sono gruppi di virus simili. Le variazioni genetiche di un virus sono raggruppate nei ‘clades’ che possono anche essere chiamati sottotipi, genotipi o gruppi.
In sostanza, anche dopo essersi già curati dal Coronavirus, sarebbe una variate presente nel Dna di ognuno a determinare la possibilità o meno di reinfettarsi perché l'infezione da SARS-CoV-2 non sembra conferire immunità contro tutti i ceppi di SARS-CoV-2. Per questa combinazione di motivi, se sottoposti al virus, alcune persone si ammalano e altre no. Ma ancora l’incertezza regna sovrana tra gli esperti, come scrivono gli scienziati coreani rispetto ai casi di studio, perché non si riesce a comprendere il grado di contagiosità del trasmettitore: spesso la fonte della reinfezione non è nota.
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