Se potessero, gli italiani fermerebbero la macchina del tempo a 30-40 anni
Se esistesse la macchina del tempo, un italiano su tre (33% del campione) si fermerebbe all’età compresa tra i 30-40 anni. Lo rivela un sondaggio online in forma anonima dal titolo “I migliori anni della nostra vita. Il rapporto degli italiani con il proprio passato”, sviluppato da Barabino & Partners su un campione di 2.400 soggetti, composto per il 38,5% da uomini e per il 61,5% da donne, distribuito in maniera eterogenea sulle diverse età anagrafiche e sul territorio nazionale. Più in particolare, la ricerca, presentata oggi da Luca Barabino in occasione della presentazione in anteprima del libro “Le rose che non colsi” della psicologa Gianna Schelotto, ha approfondito le risposte degli italiani al quesito “Se potesse tornare indietro nel tempo, a quale età deciderebbe di fermarsi per viverci permanentemente?”
Diverse le motivazioni ricorrenti tra chi dichiara che, se ne avesse la possibilità, deciderebbe di tornare ai propri 30-40 anni. In primo luogo la stabilità, sia personale che professionale; secondariamente, la consapevolezza e l’equilibrio raggiunto tra i progetti e le possibilità ancora da realizzare e la solidità psicologica ed esistenziale acquisita. Una ragione significativa è rappresentata anche dal contesto familiare, dettato nella maggioranza delle risposte dall’arrivo dei figli e dalla conseguente dimensione di genitorialità.
Il 30% degli intervistati tornerebbe invece al periodo di passaggio tra la giovinezza e l’età adulta compreso tra i 20 e i 30 anni, vissuto come l’età della progettualità per eccellenza, un momento della vita in cui il “poter diventare” coincide con il “poter essere”. Seguono con significativo distacco le preferenze per i 40-50 anni (12%), 14-19 (6%), 0-14 (3.5%) e 50-60 (2.3%), con l’aggiunta di qualche sporadica propensione per gli anni over 60.
“Oltre un italiano su 10 – ha spiegato Luca Barabino, AD di Barabino & Partners - si dichiara invece soddisfatto della propria età attuale; l’11,29% del campione, infatti, risponde “adesso” alla domanda del sondaggio. L’aspetto più curioso è che il 72,5% di chi fornisce questa risposta è di genere femminile, contro un 27,5% di preferenze maschili. Un dato che sembra indicare una maggiore capacità, da parte delle donne, di “stare” nel presente in tutte le età. Ciò si manifesta anche nelle fasi dell’invecchiamento, in una prospettiva di migliore adattamento allo scorrere del tempo”.
Se quindi, a sorpresa, il “carpe diem” e la fiducia nel presente si rivelano prerogative femminili, il mito dell’eterna giovinezza sembra rispondere a un profilo prettamente maschile. Da un lato, infatti, le donne scelgono senza indugi la maturità, ripensando ai propri 30-40 anni come ad un periodo di piena espressione della femminilità e, per alcune, come al momento della maternità e della costituzione del “nido”.
D’altro canto, invece, gli uomini ripensano con maggiore piacere al periodo della giovinezza. Al primo posto, nel cuore dei maschi, emerge il ricordo dell’età 20-30, generalmente vissuta come l’avvio della propria realizzazione identitaria, ma soprattutto come un momento di vita spensierato e privo di responsabilità.
Rispetto alle donne, gli uomini conservano un ricordo migliore anche dell’età adolescenziale. A questo periodo della vita tornerebbe infatti l’8% del totale degli uomini rispondenti al sondaggio, esattamente il doppio delle preferenze attribuite dai soggetti femminili (4%). Lo stesso vale per l’infanzia, che nel cuore degli uomini si rivela un ricordo più dolce che nel gentil sesso. A scegliere quest’età è infatti il 4,7% dei casi, contro ad un 2,64% di riscontri femminili.
“Queste risposte – ha spiegato la psicologa Gianna Schelotto – fanno pensare che gli uomini si affidino più volentieri al mito dell’eterna giovinezza sia più maschile che femminile. Spesso più coccolati, gli uomini tendono ad associare all’infanzia una dimensione più lieve rispetto alle donne, e all’adolescenza una dimensione più giocosa, forse in virtù del fatto che vivono una crescita più fluida, dal punto di vista sia fisiologico che psicologico, rispetto alle ragazze”.
“Al di là delle differenze tra i sessi – ha proseguito Schelotto - è interessante notare come l’età compresa tra i 14 e i 19 anni sia scelta dal 6% del campione complessivo, mentre la schiacciante maggioranza delle preferenze si concentra su età più mature. Ciò è di particolare interesse, dal momento che l’idea di sviluppare questo sondaggio è nata da un’analoga ricerca condotta anni fa in USA, secondo cui un uomo su tre e una donna su quattro avrebbe scelto di ritornare permanentemente proprio agli anni adolescenziali, evidenza smentita dal nostro campione”.
“Questo dato può indurci a interpretazioni diverse – ha proseguito Fulvio Scaparro - in primo luogo, risulta chiaro che l’adolescenza non viene vissuta così serenamente dagli italiani; forse, però, occorre anche considerare che, da un punto di vista esistenziale, l’età dell’adolescenza spesso si protrae anche a fasi più mature della vita, per alcuni per via di una difficoltà a crescere, per altri anche per fattori occupazionali e sociali che rallentano in maniera importante lo sviluppo personale verso l’età adulta. Da un certo punto di vista, quindi, potremmo pensare che chi non ha scelto di tornare all’adolescenza, non lo abbia fatto perché, in fondo, si senta ancora dentro in quest’età”.
Proprio sulla tematica del rapporto piscologico ed esistenziale che si tende ad avere con il proprio passato, si concentra l’ultimo lavoro di Gianna Schelotto, dal titolo “le Rose che non colsi. Quando il passato è troppo presente”, edito da Mondadori. Il libro è un percorso narrativo che, tra letteratura e psicologia, delinea i concetti di rimpianto e di occasioni perdute. Come descritto dal verso di Guido Gozzano a cui il titolo del libro è dedicato, capita spesso di dire a se stessi “Non amo che le rose che non colsi”, talvolta dimenticando che, come scrive Schelotto “se quel fiore mantiene nel ricordo tutto il suo splendore, è proprio perché non è stato colto mai”. Nelle pagine di questo libro, Gianna Schelotto invita quindi il lettore a riflettere sul proprio passato con trasporto ma anche con obiettività, senza idealizzazioni che possono condurre la mente all’immobilismo, impedendole di godere del presente e di proiettarsi verso il futuro.