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Costume
Scuola all'estero per 7.400 studenti, è boom: +111% dal 2009

Cresce la voglia di apertura degli studenti italiani e delle scuole in generale. Nel solo anno scolastico 2015-16, 7.400 adolescenti delle scuole superiori hanno trascorso un periodo tra i 3 o 6  mesi o  l’intero anno scolastico all’estero (due anni fa la stima era pari a 7.300, ma nel 2009 erano stimati 3.500, un bel passo in avanti del 111%) e circa due terzi (63%) degli istituti italiani ha attivato almeno un’iniziativa di tipo internazionale. Un altro passo in avanti nel lento, ma inarrestabile cammino della scuola italiana nell’apertura verso l’estero che raggiunge 42 punti su 100 (nel 2009 erano 37). Tuttavia, la voglia di apertura si scontra con la crisi economica di lunga durata che ha causato una minor disponibilità economica sia da parte del settore pubblico (e quindi delle scuole) sia da parte delle famiglie, comportando una razionalizzazione delle loro risorse.

E’  quanto emerge dalla rilevazione 2016 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca (www.scuoleinternazionali.org) affidata a Ipsos dalla Fondazione Intercultura e presentata lunedì 10 ottobre a Milano, di fronte a 400 studenti delle scuole superiori. La manifestazione intitolata “L’esperienza che mi ha cambiato la vita”, ospitata nella sede di Assolombarda, ha visto la partecipazione di Diego Piacentini, appena nominato Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale, che ha scelto proprio l’evento di Intercultura quale sua prima uscita pubblica per sottolineare i benefici dell’esperienza vissuta da lui stesso all’estero a 17 anni, Carmela Palumbo, Direttore Generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione del MIUR, Oliviero Bergamini, caporedattore esteri del TG1 e anche lui ex partecipante a un programma all’estero con Intercultura, Susanna Mantovani, Docente Ordinario di Pedagogia Generale e Sociale all’Università degli Studi di Milano Bicocca e alcuni giovani studenti appena rientrati da soggiorni di un anno all'estero negli USA, Cina. Danimarca, Svezia, Repubblica Dominicana, Honduras.

A questi risultati positivi, rilevati su di un campione di circa 400 Dirigenti Scolastici delle scuole superiori, si contrappone però uno scenario di luci e ombre: da un lato ci sono le scuole già ben avviate che riescono ad aderire o a organizzare iniziative che favoriscono i contatti tra studenti e docenti italiani ed esteri, tant’è che è in crescita negli ultimi due anni il numero di istituti con indice alto (compreso tra 51 e 70 punti). Tra le scuole che hanno un indice elevato ci sono soprattutto quelle che attivano i programmi di mobilità di gruppo (60 punti), quelle che promuovono i gemellaggi (56 punti), gli incontri tra docenti con scuole straniere (55 punti), la mobilità individuale (54 punti). Il CLIL (la docenza di una materia in lingua straniera) e l’insegnamento di tre o più lingue straniere contribuiscono alla crescita, ma non tanto quanto in passato, poiché ormai sono pratiche comuni (in alcuni casi obbligatorie) tra gli istituti superiori in Italia (48 e 49 punti).

Dall’altro permane un folto gruppo di scuole che invece non ha le risorse e/o le competenze per attivare il percorso di internazionalizzazione, difatti rispetto al 2014, quel 63%  di scuole che ha aderito a progetti internazionali è diminuzione di ben 5 punti. Le scuole del Sud Italia, in particolare, non riescono a capitalizzare completamente il maggior coinvolgimento sperimentato nel 2014 (scendendo di 9 punti percentuali)  Roberto Ruffino, Segretario Generale della Fondazione Intercultura: “E’ importante non sottovalutare questa diminuzione del numero di scuole che attivano iniziative di mobilità di gruppo e altre che prevedono brevi periodi all’estero. Quella che possiamo chiamare la spirale dell’internazionalizzazione ha bisogno di una leva iniziale affinché la scuola italiana possa aprirsi sempre di più. Per far ciò, in tempi di crisi economica, è necessario essere convinti riguardo all’utilità delle attività volte all’internazionalizzazione per la formazione delle generazioni di domani”.

Quali i motivi di questa battuta d’arresto? Secondo i Presidi intervistati, oltre alla carenza di budget (20%) e di interesse da parte degli alunni (18%), in questi anni  di complesse riforme al sistema scolastico (piena operatività della riforma Gelmini e avvio della Buona Scuola), la mancata adesione ai programmi internazionali è spesso dovuta al fatto che le finalità di tali programmi sono inadeguate rispetto al profilo del proprio istituto, motivazione che viene addotta dal 16% delle risposte (soprattutto istituti tecnici e professionali con percentuali al 22%).

D’altro canto, non si ferma la voglia degli studenti di uscire dalla propria zona di sicurezza e abbracciare la sfida di vivere e studiare per un periodo lungo all’estero. Secondo le stime calcolate da Ipsos, quest’anno a partire sono stati in 7.400 (due anni fa erano 7.300): ben l’111% in più rispetto al 2009, anno in cui sono iniziate le rilevazioni dell’Osservatorio. Potendo scegliere, studenti e famiglie preferiscono il classico anno scolastico al’estero, per vivere appieno l’esperienza formativa sia dal punto di vista curriculare che quello umano. Le destinazioni preferite continuano a essere quelle anglofone, principalmente gli Stati Uniti (meta scelta, a detta dei Presidi dal 38% dei ragazzi) e il Regno Unito (13%). E’ però interessante notare, in parallelo, la crescita della scelta verso i Paesi del Centro-Sud America (che insieme ammontano all’8%).  Purtroppo, anche in questo caso, c’è ancora una differenza tra Nord e Sud: sempre più scuole nel Nord Ovest (66%) e nel Centro Italia (59%) fanno mobilità: +10% rispetto a due anni fa, mentre nelle regioni del Sud, dove la mobilità non si è mai stata diffusa quanto altrove, scende ulteriormente la percentuale di istituti con alunni in uscita per un programma di almeno tre mesi di studio all’estero (da 38% a 31%).

Una nota positiva che emerge dalla rilevazione di quest’anno è che, in solo 2 anni, è aumentata di ben 7 punti l’opinione positiva verso l’esperienza all’estero dei docenti da sempre additati come i più refrattari verso la mobilità individuale: il 49%, quasi la metà, favorevole e coinvolto attivamente nell’organizzazione, assegna un voto tra 9 e 10. Probabilmente la normativa del MIUR (843/2013) che ha chiarito che le esperienze di studio all’estero sono “parte integrante” dei percorsi di formazione e istruzione” e che sono “valide per la riammissione nell’istituto di provenienza”, ha aiutato.

Un anno all’estero cambia la vita? Rende più felici: lo è il 90% degli ex partecipanti vs il 67% degli italiani

Oltre ai dati sul grado di internazionalizzazione delle scuole italiane, la ricerca dell’Osservatorio di quest’anno si è concentrata anche sui benefici e le competenze che si acquisiscono attraverso i programmi di mobilità individuale.

Attraverso le interviste circa 900 ex partecipanti a questi programmi, partiti tra il 1977 e il 2012, emerge un quadro chiaro grandi differenze rispetto alla media italiana. Il risultato più evidente è che si tratta di una generazione, trasversale nelle varie età, di laureati (84% vs la media italiana tra ex liceali pari al 52%), con un percorso universitario brillante (il 64% si dichiara tra i migliori del proprio corso e il 32% ottiene il massimo alla laurea rispetto al 21% della media nazionale), che ha scelto il lavoro dipendente (a livelli quadri e dirigenziali per un terzo di loro, vs il 15% degli italiani) anche per poter intraprendere una carriera internazionale.  Inoltre non hanno avuto difficoltà a trovare lavoro o a cambiarlo, lo dichiara l’83% e il tasso di disoccupazione complessivo è al di sotto del 9% (vs un dato italiano pari al 14% tra i 20 e i 54 anni). Dulcis in fundo, non sono di certo “bamboccioni”, visto che solo il 2% degli over 34 anni vive ancora con i genitori, rispetto a un dato nazionale che si attesta attorno al 12%.

Ma soprattutto, chi ha trascorso un periodo di studio e di vita all’estero, a contatto con un’altra cultura, con i propri limiti e con i propri talenti nascosti, è una persona soddisfatta: della propria carriera, perché coerente con i propri interessi e aspirazioni, e della loro vita: il 90% si dichiara complessivamente felice, uno stacco netto rispetto alla media degli italiani che è del 67%. Se la ricchezza di una nazione si basasse sul tasso di felicità, visto come un diritto e non come un’aspirazione, anziché il PIL, sarebbe forse più facile sapere in quale direzione muoverci.

Il beneficio più importante però, è la consapevolezza del ruolo attivo che queste generazioni di ex partecipanti ai programmi all’estero devono avere nella società. Essendo stati, da giovanissimi, a confronto con una cultura diversa per un lungo periodo, sono consci di vivere in un mondo che non si ferma ai confini della propria nazione e che sempre di più sta diventando cosmopolita. E’ una generazione di globetrotter che somma l’identità comunitaria a quella nazionale: il 79% si sente di appartenere all’Unione Europea, e il 52% immagina l’UE con un ruolo più centrale (vs il 24% degli italiani). Infine, per chi è abituato a muoversi in un territorio più vasto di quello nazionale, come queste generazioni di globetrotter, i benefici della libera circolazione sono irrinunciabili: se il 58% degli italiani vuole ripristinare i controlli alle frontiere, rinunciando ai benefici di Schengen, solo il 14% degli ex partecipanti condivide questa opinione.

Insomma, a  fronte di un’epoca storica come la nostra, improntata sulla chiusura, di porte che si chiudono per proteggerci e difenderci all’interno della nostra zona di sicurezza, corrisponde un’altra parte, più inclusiva, della nostra società, composta da quegli studenti che, negli ultimi 60 anni, hanno deciso invece di spalancare le proprie porte verso l’esterno, trascorrendo da adolescenti un periodo di studio in un altro Paese, spesso un intero anno scolastico, accolti da una famiglia e studiando in una scuola locali.

Sono intere generazioni di studenti, ora adulti, che credono in un mondo senza confini e nel dialogo tra i popoli, che hanno una visione globale anziché locale. E’ una generazione, nella sua globalità, internazionale, inclusiva, aperta e curiosa, cosciente delle proprie capacità e dei propri limiti, che sceglie il proprio percorso di vita e di lavoro in modo consapevole, diventando, alla fine, più felice della media dei propri coetanei e compatrioti. Mica poco!

Sul sito www.scuoleinternazionali.org sono disponibili le infografiche con i principali dati delle ricerche e il test con la possibilità di autovalutare il grado internazionalizzazione del proprio istituto.

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studenti esterostudenti intercultura





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