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Cronache
"Corruzione in atti giudiziari": trema il Consiglio di Stato


Italo Bocchino, Alfredo Romeo e il suo avvocato Stefano Vinti sono finiti in un nuovo filone d'inchiesta scaturito dal caso Consip. Un ramo d'indagine iniziato a Napoli e trasferito per competenza alla procura di Roma. Con un'ipotesi di reato gravissima: corruzione in atti giudiziari. L'Espresso in edicola domenica racconta retroscena e particolari di una pista che si intreccia con un'indagine segreta che va avanti da mesi, e che riguarda presunte compravendite di sentenze nella giustizia amministrativa. In particolare al Consiglio di Stato, dove presunti gruppi di potere composti da faccendieri, politici conniventi, giudici e professionisti riuscirebbero a fare il bello e il cattivo tempo.

«Abbiamo preso un altro bidone», dice Bocchino a Romeo parlando di una sentenza negativa arrivata qualche giorno prima da Palazzo Spada. Nel mirino dell’ex delfino di Gianfranco Fini c’è Stefano Vinti, l’avvocato amministrativista ingaggiato da Romeo per i contenziosi contro i suoi concorrenti. «Vinti c’ha un pacchetto di dieci cose là, capito?» spiega a Romeo «Perché quando va a fare qualche operazione...non è che va a fare l’operazione...questi sono di Romeo per la cosa di Romeo...Va là, dice “questi sono per te”, no? Poi negozia dieci cose. Su questo si è distratto. Perché secondo me era certo che tu... che vinceva perché aveva ragione. La distrazione ha portato allo scarso studio della cosa... Ma ora li possiamo recuperare?».
  
«Un negoziatore di cause», appuntano i carabinieri del Noe. Se i sospetti degli inquirenti fossero confermati, sarebbe un colpo al cuore della giustizia amministrativa e a un pezzo fondamentale del sistema giuridico nazionale: perché se, come dice Romeo, «i tribunali amministrativi sono le vere commissioni giudicatrici delle gare d’appalto» (quasi ogni decisione della Consip viene infatti appellata prima al Tar e poi a Palazzo Spada), il Consiglio di Stato è una camera di compensazione dei poteri economici e politici del Paese, e i suoi giudici spesso scelti come collaboratori fidati di ministri e sottosegretari. «Eventuali commenti che facemmo davanti a un caffè erano dettati dallo stupore, ed erano consolatori», replica Bocchino a L'Espresso.

Si vedrà. Di certo l’inchiesta è molto complessa, e gli sforzi in campi messi da procure (anche di altre regioni) e corpi specializzati della Finanza sono enormi. Uno dei professionisti finito nel mirino dei magistrati romani è Piero Amara. Un avvocato di Siracusa accusato, qualche giorno fa, di frode fiscale e false fatturazioni. Ebbene, durante le perquisizioni della società Dagi srl, nella stanza in uso ad Amara insieme a documenti di ogni tipo è stata trovato anche un faldone. Dentro, documenti finanziari e investimenti di un pezzo da novanta di Palazzo Spada: Riccardo Virgilio, ex presidente aggiunto del Consiglio di Stato, da poco sostituito da Alessandro Pajno, vicinissimo al capo dello Stato Sergio Mattarella.

I documenti trovati nello studio di Amara, indagato anche per associazione a delinquere finalizzata a commettere reati tributari, raccontano alcune operazioni finanziarie del presidente Virgilio. Che non solo era titolare di un conto in Svizzera aperto agli inizi degli anni ‘90 al Credito Svizzero, ma ha pure deciso di investire oltre 750 mila euro cash in una società maltese, la Investment Eleven Ltd. I cui soci sono schermati da un’altra fiduciaria.

Un contratto di finanziamento firmato il 4 novembre 2014 garantirebbe al consigliere di Stato un diritto di opzione per il controllo di quote della Teletouch. Una società di cui è socio lo stesso Amara, due cittadini svizzeri e l’imprenditore Andrea Bacci. Un caro amico di Matteo Renzi e in passato socio d’affari di Tiziano, che qualche mese fa è stato in predicato – secondo alcuni quotidiani - di diventare amministratore delegato di Telecom Sparkle. L’Espresso ha spulciato i documenti della camera di commercio maltese, dove è conservato un verbale del 13 marzo 2017 della Investment Eleven. Si legge che per finanziare l’operazione Teletouch (che dovrebbe garantire «un ritorno del 50 per cento l’anno», grazie anche a un memorandum d’intesa non vincolante con Telecom Italia firmato nel 2015 teso «a sviluppare la tecnologia N-Touch») e altri business legati al commercio del petrolio e del gas con Dubai (attraverso altre due società di Amara e del suo socio Giuseppe Calafiore), «la società ha sviluppato un accordo con il signor Riccardo Virgilio».

Amara è categorico. «L’operazione è stata tutta tracciata. Il bonifico il presidente Virgilio l’ha fatto con nome e cognome. Ha messo anche la causale del bonifico: “finanziamento socio”» si giustifica l’avvocato. «Il suo conto corrente in Svizzera è stato aperto nel 1993, ed è collegato a suoi risparmi e a un’eredità, quella di una sua zia ricca. E le ricordo che Malta, a cui è arrivato il bonifico alla Bank of Valletta, non è più un paradiso fiscale».

L’Espresso, però, ha scoperto che Virgilio è anche sottoscrittore di una polizza sulla vita con la Credit Suisse Life (Bermuda) ltd, la società del colosso svizzero che è stata indagato dalla procura di Milano con l’accusa di aver aiutato migliaia di presunti evasori fiscali attraverso polizze vita fasulle. Leggendo il verbale della Investment dello scorso marzo, si legge infatti che i fondi investiti «sono parte di una assicurazione sulla vita aperta nel 2006».

Tra i tanti clienti, da anni Amara è anche il legale di un imprenditore poco conosciuto dall’opinione pubblica, ma molto capace e abile. Si chiama Ezio Bigotti, e pure lui è finito (non indagato) nelle carte dell’inchiesta Consip. Fondatore del Gruppo Sti a soli 29 anni, console onorario del Kazakistan, come raccontato da L’Espresso un mese fa, è – intercettazioni alla mano - il vero nemico giurato di Romeo: in pochi anni sarebbe diventato lui il presunto dominus, ripeteva ai suoi fedelissimi l’imprenditore di Cesa prima di essere arrestato per corruzione, di un sistema di potere che in Consip farebbe il bello e il cattivo tempo. Più forte rispetto a quello messo in piedi da Romeo.

Un uomo vicinissimo a deputati di Ala come Denis Verdini, Ignazio Abbrignani e Saverio Romano, e capace, secondo un esposto mandato sempre da Romeo alla Consip e all’Anac di Raffaele Cantone, di organizzare «cartelli» per vincere appalti insieme alle cooperative rosse e altri partner importanti, come Engie Italia (l’ex Cofely), e di riuscire a battagliare come pochi sia nei Tar che al Consiglio di Stato.

«È vero che sono legato a Bigotti, abbiamo tra l’altro vinto da poco un processo a Torino in cui lui era stato ingiustamente accusato di corruzione e millantato credito. Ma io non ho seguito Bigotti nelle cause al Consiglio di Stato contro Romeo o la società Siram. Il presidente Virgilio è stato presidente della quarta sezione, ma con lui nei collegi Bigotti qualche volta ha vinto, molte altre – soprattutto contro Romeo – ha perso».

Bigotti, la cui holding è controllata dalla lussemburghese lady Mary II schermata a sua volta da altre due fiduciarie del Granducato, è considerato da chi lo conosce bene il miglior “architetto” di gare pubbliche in circolazione, capace di allearsi con imprese molto più grandi delle sue e fare man bassa di gare Consip. Bigotti sembra anche un esperto in ricorsi al Consiglio di Stato. In un’intercettazione del Noe ne parlano anche l’ad di Consip Marroni insieme a due dirigenti, Marco Gasparri (che ha ammesso di aver avuto 100 mila euro da Romeo, motivo per cui l’imprenditore è in carcere) e Martina Beneventi.

È il 24 ottobre 2016, e il giorno dopo, è previsto un incontro tra Marroni e Bigotti, accompagnato dall’avvocato Amara e Verdini. Location: il ristorante “Al Moro”, nel centro di Roma. Gasparri propone una strategia per evitare che Bigotti continui a fare ricorsi a catena in caso di sconfitta. «Il dirigente interviene dicendo che Marroni deve chiedergli di non ricorrere più alla giustizia amministrativa in quanto i continui contenziosi rallentano gli affidamenti delle commesse anche di anni» appuntano i carabinieri del Noe che li stanno ascoltando con le cimici «E di rappresentargli che la sua azienda riesce ad aggiudicarsi una buona fetta dei bandi anche senza ricorsi». A quel punto interviene l’altro dirigente presente, la Benvenuti, che sottolinea «che molto probabilmente ci sono diversi filoni d’indagine da parte della magistratura che possono interessare la questione Bigotti».

Il giorno dopo, davanti a una amatriciana, secondo la testimonianza giurata di Marroni Bigotti si lamentò «dell’atteggiamento aggressivo» di Consip nei confronti delle sue società. Qualche giorno fa, invece, Bigotti – in un esposto mandato alla procura di Roma – ha spiegato che volle quel colloquio per parlare «di taluni gravi vicende» che riguardavano Alberto Bianchi. Un avvocato consulente della Consip famoso per essere presidente della Fondazione Open, la cassaforte del neo segretario del Pd Matteo Renzi, e uno dei capi del Giglio Magico. «Desideravo che l’ad Maroni fosse informato della incredibile situazione rappresentato dal ruolo svolto dall’avvocato Bianchi. Questi era, in quanto legale Consip, in un caso controinteressato avverso la impugnazione di una gara Consip aggiudicata a Siram; ciò non di meno e al contempo Bianchi era, in numerosissime cause amministrative anche presso il Consiglio di Stato, l’avvocato che assisteva e patrocinava proprio la Siram. Marroni reagì molto male, negando la circostanza. Aggiunse pure che qualora fosse stata vera, sarebbe stato gravissimo».

L’inchiesta sul Consiglio di Stato e i sospetti di sentenze comprate sono cominciate anni fa, dopo alcuni esposti arrivati al pm Stefano Fava, ma hanno trovato un primo snodo importante lo scorso luglio, con le prime perquisizioni dell’indagine chiamata Labirinto. Se il consigliere di Stato Nicola Russo, mentre era membro di una Commissione tributaria, è stato indagato per divulgazione del segreto d’ufficio e/o corruzione in atti giudiziari per aver aiutato, questa l’accusa che ipotizza anche l’uso di modelle minorenni come tangenti, l’amico Stefano Ricucci a vincere una causa da 20 milioni di con l’Agenzia delle Entrate (se la procura ha chiesto la sospensione del consigliere dagli incarichi giuridici, ma sia il gip che non vedeva prove schiaccianti per dimostrare l’accordo corruttivo sia la Cassazione hanno bocciato la proposta: in attesa della richiesta o meno di rinvio a giudizio, Russo oggi lavora alla sede palermitana di Palazzo Spada), in un altro filone d’indagine i pm stanno cercando di capire se ci sia stata una fabbrica di sentenze messa in piedi da un altro gruppo di potere.

Nel mirino sono finiti il deputato Antonio Marotta, il faccendiere Raffaele Pizza (secondo una deposizione di Luigi Esposito, anche lui indagato, avrebbe consegnato dei soldi anche per favorire un pronunciamento positivo al Consiglio di Stato in un contenzioso successivo a una gara che aveva vinto alla Consip) e soprattutto il funzionario di Palazzo Chigi Renato Mazzocchi. Indagato oggi per riciclaggio perché conservava in casa, in mezzo a una confezione di spumanti “Ferrari”, 247 mila euro in contanti. Insieme ad alcuni nomi di giudici del tribunale ordinario, di avvocati e magistrati amministrativi, sentenze del Tar e del Consiglio di Stato.

Una di queste, in particolare, suscita ancora l’interesse negli investigatori: quella del 2015 che ha restituito a Silvio Berlusconi le azioni di Mediolanum, che sia Bankitalia, in virtù della condanna definitiva subita dall’ex premier, e poi il Tar avevano imposto di cedere. Sulla fotocopia della sentenza di Palazzo Spada, forse scaricata da Internet, c’era un appunto manoscritto che segnalava presunti incontri tra legali di B. e persone dentro il Consiglio di Stato. Per la cronaca presidente del collegio giudicante era il presidente di sezione Francesco Caringella (che ha scritto di recente un libro con Raffaele Cantone e che in una lettera al “Corriere della Sera” ha rifiutato con forza qualsiasi insinuazione), mentre relatore della sentenza è stato Roberto Giovagnoli, un giovane magistrato attaccato anni fa da un altro giudice, Alessio Liberati, per aver vinto il concorso «senza i titoli necessari».

Mazzocchi, quando a luglio 2016 i finanzieri gli piombarono in casa fece subito un numero di telefono per trovare un avvocato. Era il cellulare di Piero Amara. Che rifiutò l’incarico.

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