L'esecuzione capitale di Djalali è stata rimandata. Ahmadreza Djalali, medico e ricercatore con doppia nazionalità iraniana e svedese, esperto in medicina dei disastri, che ha lavorato anche con l'Università del Piemonte Orientale (Novara), "non è stato trasferito nel luogo dell'esecuzione". A riferirlo all'Agi da fonti iraniane è Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia. "L'ufficio per l'attuazione delle sentenze ha detto che è arrivato un ordine superiore secondo il quale per i prossimi giorni l'esecuzione è sospesa", riferisce Noury, sottolineando che la mobilitazione per salvare Djalali va avanti.
Secondo Radio Farda, Djalali è ancora nel carcere di Evin, a Teheran, e non è stato trasferito - come precedentemente riferito - nella prigione Rajai Shahr, a Karaj, la struttura penitenziaria dove di solito si eseguono le condanne capitali il mercoledì all'alba.
Djalali, 49 anni, era stato arrestato nel 2016, quando si è recato in Iran per partecipare a una conferenza scientifica. L'anno dopo è stato condannato per "corruzione". Dichiaratosi sempre innocente, ha poi raccontato di essere stato costretto a confessare, sotto tortura, di essere colpevole di "spionaggio" a favore di Israele, un reato attribuito anche ad altri cittadini iraniani con doppia cittadinanza. Secondo Djalali, la sua colpa è stata quella di aver rifiutato di lavorare come spia per le autorità iraniane. Per il suo caso si sono mosse le principali organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, che hanno condannato il processo arbitrario e iniquo a cui, a loro dire, è stato sottoposto. Anche l'Ue si è mossa per la sua salvezza, mentre - a quanto si apprende da fonti locali - anche l'ambasciata italiana a Teheran si è unita all'iniziativa diplomatica guidata dalla Svezia per far pressioni sulle autorità iraniane.
A complicare la situazione è l'uccisione, lo scorso 27 novembre vicino Teheran, del capo del programma nucleare iraniano, Mohsen Fakhrizadeh, in un attentato che secondo la Repubblica islamica porta la firma di Israele. I difensori dei diritti umani temono che sul caso di Djalali possa consumarsi una "rappresaglia interna". L'ambasciata iraniana a Roma, in un recente tweet di risposta a un utente, ha messo in relazione i due casi: "Chi ha martirizzato Fakhrizadeh, un grande scienziato, sicuramente si reputa innocente come Djalali, le cui mani sono macchiate del sangue dei suoi connazionali ed è stato condannato per spionaggio in tribunale, con prove sufficienti e quindi deve essere punito. Stop ai doppi standard".
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