L'urlo di un uomo libero
In molti mi chiedono perché scrivo così tanto e io rispondo che scrivo innanzitutto per far sapere qualcosa di più di me ai miei figli e per fare conoscere il carcere al mondo esterno, perché mi ha colpito una frase scritta sul muro di un lager nazista: “Io sono stato qui e nessuno lo saprà mai”. E non è vero che uno scrive per se stesso, si scrive sempre per gli altri.
Si scrive per sentirsi vivi. Io scrivo pure per dimostrare a me stesso che nonostante sono sepolto di cemento, sbarre di ferro e cancelli blindati, non solo respiro, ma sono anche vivo. Scrivo per fare conoscere ai “buoni” il mondo dei “cattivi” perché i libri sono specchi. E riflettono quello che abbiamo dentro. Scrivo anche perché m’illudo che questo sia l’unico modo che ho per continuare ad esistere al di là del muro di cinta “Alla sera, quando la giornata dell’ergastolano è finita e sento la mandata del cancello ed il blindato che si chiude ed inizia la notte dell’ergastolano, la più dura, sento la voglia di farla finita, ma subito dopo mi preparo a passare la notte giacché non ho il coraggio di farlo.
Si vive con tristezza e malinconia, senza speranza e senza sogni. Si vive una realtà, in una penosa solitudine, più brutta degli stessi incubi con l’angoscia di aspettare la notte ed il giorno senza vivere, come ombre che oscillano nel vento, come pesci in un acquario, con la differenza che non siamo pesci. Vivi una vita che non ti appartiene più, vivi una vita riflessa, una vita rubata alla vita. Per l’ergastolano, il carcere è come un cimitero: invece che morto sei sepolto vivo.”
Carmelo Musumeci