"Vi era uno stato di incertezza nell'attribuire gli attentati del '93. L'attribuzione della matrice mafiosa non fu facile". Lo ha detto l'ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, che ha deposto oggi nell'aula bunker di Rebibbia a Roma nell'udienza preliminare per la trattativa Stato-mafia, davanti al Gup di Palermo, Piergiorgio Morosini. De Gennaro ha sottolineato che nella stragi "la logica era quella della stabilizzazione". De Gennaro ha poi ricordato una nota della Direzione investigativa antimafia del 10 luglio del 1993 in cui si seganalava la "strategia di pressione sullo Stato".
NON RICORDO PERICOLO ATTENTATI A MANNINO - "Colleghiamo l'omicidio Lima alla strage di Capaci per una logica di terrorismo mafioso". L'omicidio dell'eurodeputato della Dc Salvo Lima nel marzo del 1992 "fu grave pero' non lo collegai subito", ha aggiunto De Gennaro, che ha detto di non ricodare se dopo questo delitto e la strage di Capaci abbia "avvertito il pericolo di altri attentati a uomini politici". In particolare, il teste ha sottolineato: "Non ricordo pericoli di attentati a Mannino", l'ex ministro democristiano del Mezzogiorno imputato nel procedimento. Secondo l'accusa, Mannino si sarebbe attivato per la trattativa nel timore di essere ucciso dalla mafia.
LIMA E CAPACI REAZIONE A MAXIPROCESSO - L'omicidio di Salvo Lima e la strage di Capaci vennerro inquadrati in un'unica logica di "reazione dell'organizzazione mafiosa dopo le condanne definitive al maxiprocesso". De Gennaro, allora ai vertici della Dia, ha sostenuto di "non avere un preciso ricordo dell'omicidio Lima, se non sul fatto che venne inquadrato in una sorta di reazione della criminalità mafiosa dopo il maxiprocesso". Ipotesi rafforzata dopo l'omicidio di Giovanni Falcone: "Dopo Capaci - ha spiegato De Gennaro - anche l'omicidio Lima si inserisce in un'unica strategia di attacco mafioso".