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Cronache
Strage Bologna. Cronista telefona a giudice. Finisce Indagato. Rischia 4 anni

Quello che sta accadendo al giornalista Silvio Leoni è degno dei migliori gialli. Ed è la dimostrazione che anche un gesto apparentemente innocuo può trasformarsi nell’inimmaginabile.

Il 18 ottobre 2019 Leoni telefona al giudice Michele Leoni (è un puro caso che i cognomi siano identici) che presiede la Corte d’assise di Bologna. Il magistrato sta tenendo il giudizio che accusa l’ex terrorista dei Nar Gilberto Cavallini di essere il quarto attentatore della strage del 2 agosto 1980. Cavallini in seguito verrà condannato.

 

“Presidente Leoni, buongiorno, sono Silvio Leoni, sono un giornalista di Roma..., la disturbo?… Mi scusi se la chiamo… se mi permette...”. Leoni, che scrive per il Secolo d’Italia, si occupa da sempre di terrorismo, eversione e temi simili, chiede se può fare delle domande. Gli interesserebbe sapere qualcosa di più sugli esami dei resti delle vittime. Ma non fa in tempo a parlare che il giudice lo interrompe e gli spiega che non rilascia interviste sul processo, su nessun aspetto. Sono contrari alla sua deontologia. Il giornalista non insiste, ringrazia per la cortesia e saluta. La telefonata è cordiale, dura 53 secondi e sembra del tutto innocua.

 

Poco dopo il giornalista invia al giudice un messaggio whats app. “La volevo ringraziare della sua risposta cortese. Professionalmente può dispiacermi che lei non mi abbia rilasciato dichiarazioni sul processo, umanamente, tuttavia… La Giustizia ha bisogno di persone come lei. Io vengo da una vecchia famiglia di magistrati di Rieti”, spiega il giornalista, “e sono cresciuto nel mito di una magistratura davvero sopra ogni cosa. Le riconosco il merito di gestire questa vicenda (il processo che sta seguendo, ndr) con grande equidistanza. Spero di incontrarla per un caffè, quando sarà concluso il processo. Buon lavoro”.

“Grazie”, replica il giudice. La cosa finisce lì.

 

Ma un mese prima della telefonata è accaduto qualcosa.

Il giudice ha trovato rotto lo specchietto retrovisore della propria auto ed ha denunciato il fatto, ma senza indicazioni di chi possa essere stato. Il giudice racconta le vicende ai carabinieri, i quali hanno trasmesso gli accadimenti alla procura di Ancona che indaga sui reati riguardanti i magistrati di Bologna.

Il giornalista Leoni viene indagato per minacce aggravate e accesso abusivo ad un sistema informatico. Il pm Irene Bilotta ordina il sequestra del suo cellulare. Secondo l’indagine il giornalista si sarebbe “abusivamente introdotto nel contenuto del telefono cellulare” del giudice “acquisendo i suoi dati personali e dopo aver tentato di contattarlo telefonicamente, inviandogli un messaggio mediante l’applicativo whats app nel quale faceva riferimento in modo insistente e intimidatorio al processo in corso”. Fatti gravissimi.

Il cellulare viene sequestrato. Tutti i contatti del cellulare del giornalista vengono analizzati.

 

“Reati che, ovviamente, non ho mai compiuto. Ho davvero parenti magistrati. Non ho fatto nulla di male. Ho solo chiesto a mie fonti il numero del giudice ed ho chiamato presentandomi e parlando in modo cortese e ossequioso”, spiega Leoni ad Affaritaliani, “ma la cosa più incredibile di questa vicenda è che gli atti vengono trasmessi alla Procura di Ancona per via di una denuncia del giudice contro ignoti per un altro fatto, ovvero un danneggiamento all'automobile. E invece vengo iscritto io nel registro degli indagati per i reati di minacce e d'intrusione abusivo nel sistema informatico”.

Anche l'avvocato Paolo Palleschi che insieme all’avvocato Valerio Cutonilli, assiste Leoni si dice sorpreso della lettura degli accadimenti. I legali di Leoni fanno ricorso al Tribunale del Riesame che il 29 novembre annulla il sequestro scrivendo “non può neanche parlarsi del fumus dei reati ipotizzati” e “sarebbe carente la condizione di procedibilità”.

 

“Manca una querela nei suoi confronti nonostante gli si contestino delitti procedibili solo a querela di parte", spiega Palleschi. In più il danneggiamento all’auto del magistrato sarebbe avvenuto un mese prima della telefonata. Il Tribunale scrive anche che la telefonata potrebbe essere stata “inopportuna” e che “il contenuto criptico del messaggio inviato, unitamente alla circostanza dell’essere a conoscenza del numero privato di un giudice, potrebbe anche interpretarsi come una minaccia indiretta e silente” ma “manca la condizione di procedibilità”.

 

Silvio Leoni: “Ho potuto dimostrare di essermi comportato correttamente”. Il sospetto di Leoni è che gli accadimenti siano in qualche modo un effetto “dei numerose articoli che ho scritto in questi mesi sulla strage di Bologna”.

 

Il cellulare torna al giornalista, poi arriva l’epidemia da Coronavirus e tutti si aspettano il lieto fine o che la vicenda scivoli verso il qui pro quo. Ma all’inizio di giugno il pm Bilotta chiede una proroga di indagini aggiungendo ai reati ipotizzati in prima istanza anche violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, molestie e violazione della privacy.

 

Uno staff di legali indipendenti dal caso ha spiegato ad Affaritaliani che il giornalista rischia fino a 4 anni di carcere. Una pena enorme.

Sul caso si è espressa così l’Associazione Stampa Romana: “Ogni giornalista sa quanto siano importanti i presidi e le tutele di legge a garanzia della segretezza delle fonti e degli strumenti di lavoro, tutele che discendono dal ruolo costituzionale insito nell’articolo 21 della Costituzione. Sequestrare un cellulare, controllare i contatti presenti viola questi elementari principi e rappresenta un grave vulnus dello stato di diritto. È quanto accaduto a Silvio Leoni collega del Secolo d’Italia... La strage di Bologna resta un nervo scoperto della nostra storia ma questo non giustifica provvedimenti abnormi della magistratura non basati su fatti. Chiediamo alla procura di Ancona la restituzione dello strumento di lavoro e la non compromissione di contatti e fonti di Leoni al quale va la solidarietà di Stampa Romana”.

 

Visti gli accadimenti Carlo Verna, il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, ha chiesto un intervento del Consiglio superiore della magistratura e del ministro della Giustizia Bonafede. Ma per adesso nessuno batte ciglio davanti a un caso difficile da comprendere dove, analizzati i fatti conosciuti, si pongono non pochi interrogativi sul funzionamento del rapporto tra libera informazione e giustizia.

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