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Culture
A Mendrisio il pittore del mare Piero Guccione
La nave e l'ombra del mare

di Raffaello Carabini

 

“La pittura che guarda l’infinito si fa umilmente in uno studio, dopo aver sostato a lungo davanti al mare. Poi il pittore si ritira, non ascolta più le voci, non vede più la luce della natura. Sente il battito solenne del tempo interiore. La stanza è spoglia, non c’è niente di più di quello che serve per fare della buona pittura. Il pittore dipinge con metodica cadenza, sfruttando la luce che entra dalle finestre nell’arco di una giornata. Non improvvisa, si applica costantemente per migliorare, perché il suo dire sia in accordo con quanto cerca di mettere in immagine. Ma non usa la parola, solo la pittura. Se dipinge il mare, ne annuncia i colori. Usa i colori per dipingere il mare. Non solo l’azzurro, ma tutti i colori dell’azzurro.”

Così scriveva Marco Goldin presentando il modo di dipingere di Piero Guccione, il pittore siciliano, uno dei maestri del 900 italiano, scomparso pochi mesi fa a 83 anni. La prima mostra organizzata dopo la sua morte è aperta al Museo d’arte di Mendrisio, la cittadina svizzera nei pressi del confine, celebre per i suoi ipermercati outlet e per i tre musei. Incastonata alle pendici delle Alpi propone le visioni di un uomo che ha dedicato quattro decenni di intenso lavoro al mare, attirato dalla “linea appena percettibile dei suoi orizzonti di acque e di cielo”, dalla “luminosa (e numinosa) fissità del suo mare” siciliano, per realizzare “immagini folgorate dall’Assoluto”. Lo ricordava Dante Isella, lo si vede perfettamente nella sessantina di opere, tra oli e pastelli realizzati dal 1970 al 2008, che compongono un percorso espositivo severo, immobile, contemplativo. Quasi una meditazione laica, che avvolge in una densità luminosa capace di inglobare l’immediato e l’infinito, la mobilità e la stasi, una naturale felicità e un’intensa tribolazione.

La pittura come il mare, come titola l’esposizione, ci porta dentro spazi che non hanno confini, opere che sono ceselli su ceselli di linee sovrapposte per ottenere una stesura di un unico colore – quello del mare e del cielo – che non ha nulla di monocromatico oppure uniforme. Esattamente come il mare, che per Guccione è insieme ossessione e liberazione, la sua pittura si muove in una complessa dinamica tra soggettività e oggettività, alla ricerca di un’assoluta rarefazione, ai limiti dell’astrazione, restando tuttavia sempre ancorata alla realtà,

Per Guccione il mare coincideva con un’idea di pace, di quiete, dentro una luce reale e vera, e nel dipingerlo provava una somma di umori e di sensazioni, un riannodarsi alle proprie radici, un ritorno ai dati basici dell’esistenza, un’autentica immersione nella sua terra. E nel medesimo istante, come appuntava Alberto Moravia, gli permetteva di “mettersi fuori dalla storia, di tenersi alla passione che è di tutti i tempi e di tutti i luoghi. E a quella soltanto”.

 

 

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