Arte/ Gli incubi erotici di Schiele e la Grande Guerra
Di Massimiliano Di Pasquale
“Viviamo in un mondo che sta crollando, una generazione afflitta che l’arte non è ancora riuscita a rappresentare, che io non sono riuscito a rappresentare. Io sono l’ultimo membro di questa generazione. Ma finirà… e l’Impero finirà con lei. E altrettanto farò io. Il massimo che potrei sperare è di essere l’ultimo uomo di un’era e il primo di quella successiva. Ma non lo sono. Sta arrivando una nuova epoca e sarà la tua.”. Con queste parole, che sanno di vera e propria investitura e di ideale passaggio di consegne, Gustav Klimt, maestro del Simbolismo e dell’Art Nouveau mitteleuropeo di fine ‘800, si rivolge al giovane Egon Schiele, nel corso del loro primo incontro a casa del comune amico Anton Peschka. “Ho visto gli schizzi incompiuti che lasci in classe. – dice l’artista viennese, rivolto ad un incredulo Schiele – Quello che tu scarti, il resto dell’aula messo insieme non riuscirebbe a produrlo in tutta la vita. Quello che tu esprimi, gli altri lo possono solo accennare.”. Ma il grande sostegno di Klimt non basterà a fare di Schiele il suo acclamato erede. Egon – in ossequio ad una legge crudele che vuole gli artisti sensibili e tormentati morire giovani e ricevere, nel migliore dei casi, gloria postuma – scomparirà a soli 28 anni, dopo lunghi periodi di miseria e di carcere.
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I corpi femminili, nudi e malati, dei suoi ritratti – modelle, prostitute, attricette stonate dall’assenzio – diverranno però l’emblema del tramonto inarrestabile dell’impero asburgico. L’eros tormentato dei suoi dipinti disturba i benpensanti, che lo accusano ipocritamente di pornografia, perché riflette lo squallore morale di una società prossima al capolinea. Le sue tele, così come i coevi racconti di Arthur Schnitzler – il cui Doppio Sogno è un incubo erotico dalle atmosfere davvero “schieliane” – sono il ritratto nitido di una Vienna “rancida, gravida di squallore dietro il suo velo imperiale”. Una Vienna brulicante di contadini, emigranti e di una fiorente classe media che, al pari della Roma imperiale, trabocca di nazionalità che si incrociano in una reciproca avversione che l’attentato di Sarajevo trasformerà in odio. Con lo scoppio della Grande Guerra nulla sarà più come prima.
“Vienna non era che un’ombra, le sue vie squallide e silenziose se non per l’occasionale trascinarsi degli accattoni che si aggiravano tra le case deserte, frugando fra montagne di rifiuti. Erano i pochi fortunati, liberi di vagare per le strade mentre i loro compagni marcivano nei campi di battaglia abbandonati o vagabondavano scalzi per regioni sperdute, stringendo in mano una crosta di pane infestata dagli insetti”. Nel 1918, un mese prima della fine della guerra, Schiele, colpito dall’epidemia di spagnola che miete milioni di vittime in tutta Europa, si congederà prematuramente da quel mondo e da quella città, ormai ridotta in macerie, che negli ultimi mesi, dopo avergli inflitto l’umiliazione del carcere, aveva cominciato ad acclamarlo. “Quando il sonno scese su Egon per l’ultima volta, lui giaceva da solo nella chaise longue, la tela annerita dagli aloni di sudore… i suoi occhi si chiusero e lui strinse la cornice di legno sul divano”. Romanzo di singolare potenza descrittiva, mirabile sintesi di ricerca storica e immaginazione letteraria, Il Pornografo di Vienna dell’inglese Lewis Crofts a novant’anni dalla morte di Schiele, ci offre un magistrale affresco dell’artista più decadente e trasgressivo del Novecento austriaco. E della città che lo sedusse, lo ispirò e lo distrusse.
Lewis Crofts, Il pornografo di Vienna, Marco Troppa Editore, 2008, euro 16,90



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