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Culture
Giuseppe Giacobazzi torna in tour
Crediti di Damiano Fiorentini

Di Chiara Giacobelli

Ancona – Ho sempre pensato che il vero artista sia quello che riesce a confezionare un prodotto (un film, un libro, una canzone o appunto uno spettacolo teatrale) in cui l’eterogeneità e la forza delle emozioni trasmesse siano tali da far passare lo spettatore dalla risata alla lacrima, fino al momento di riflessione. Il processo funziona davvero soltanto se avviene in maniera spontanea, perciò chi sale sul palcoscenico – oppure si mette dietro la macchina da presa, o davanti al computer – deve possedere quel raro talento capace di far sembrare naturale qualcosa che in realtà nasce sì da un’ispirazione quasi magica, ma passa inevitabilmente attraverso la tecnica, la messa a punto, insomma tanto lavoro.

Giuseppe Giacobazzi è uno di questi rari artisti: lo è da sempre, perché non c’è un suo tour andato male, né un momento vuoto in cui percepisci che manca qualcosa. Quando parla alle persone, emana un’immensa energia umoristica, accompagnata dalla bravura nel saperla trasformare d’improvviso in commozione, grazie anche a quella straordinaria arma che è l’empatia.

“Io ci sarò” è uno spettacolo pensato da un genitore maturo che a un certo punto, davanti allo sgambettare della sua bimba di quattro anni, si chiede: sarò ancora qui quando nasceranno i miei nipoti? E sarò in grado di comunicare con loro, di raccontare il mio tempo, cosa accadeva quando ero ragazzino, poi uomo? Nel dubbio, Giacobazzi decide di mettere in scena un monologo registrato di serata in serata, parlando direttamente a quell’adolescente che in un futuro ancora lontano magari vorrà sapere di lui, di come andava il mondo prima di nascere, un po’ come facciamo tutti noi con i nostri nonni: chiediamo, desideriamo scoprire epoche ormai scomparse.

Ironia e profondità si legano così alla perfezione in questo nuovo prodotto teatrale – opera d’arte, la chiamerei – scritto insieme a Carlo Negri e attualmente in tournée, registrando il sold out persino la sera della finale di Sanremo, come è accaduto al Teatro delle Muse di Ancona. La gente lo ama perché si tratta di una comicità che lascia trasparire un’acuta conoscenza della vita, nonché grazie al linguaggio comprensibile, alla portata di tutti. E poi diciamolo: certe battute bisogna saperle dirle, non basta ricordarsele a memoria! Ci vuole talento per far ridere centinaia di persone per oltre due ore: Giacobazzi ce l’ha, l’ha già dimostrato in passato e di nuovo torna a confermarlo.

Ma di che cosa parla in concreto questo “Io ci sarò” di cui abbiamo quantomeno decifrato il titolo? Descrive non tanto una generazione, quanto piuttosto uno spaccato di storia che va dai giorni nostri fino agli anni in cui Giuseppe era un ragazzo impegnatissimo tra donne, divertimento, feste in casa, motorini e chiacchierate con gli amici. La tecnologia è forse l’elemento chiave attraverso cui siamo in grado di renderci conto quanto velocemente ci siamo “evoluti” (o modificati, sarebbe meglio dire), passando dai primi computer con i famosi floppy disk agli attuali strumenti elettronici e informatici che i nostri nipotini destreggiano molto meglio di noi.

Chi ha più o meno la sua stessa età si ritrova a ridere a più non posso in quel salto nel passato vivido e reale, quasi che l’oggi scomparisse per lasciare posto alle spume da bere al bar (troppo vera e divertente la constatazione di quanto sia cambiata l’attenzione pubblica nei confronti delle etichette con su scritti gli ingredienti, o dell’espandersi del fenomeno vegan a cui Giacobazzi si inchina e decanta onori, nonostante da buon emiliano-romagnolo “Hasta il maiale siempre!”), ai cinema dove si consumavano i primi bacetti rubati davanti a film d’autore che oggi chiamiamo capolavori ma allora erano soltanto prove sperimentali, fino al famoso muretto su cui si passavano i pomeriggi parlando di tutto e di niente, o alle strimpellate di fronte al mare.

Ma quel piccolo nodo di nostalgia riesce a sentirlo chiaramente anche chi, come me, è un po’ più giovane, pertanto quelle esperienze ha fatto in tempo a viverle vagamente da bambino, oppure le ha assaporate attraverso i racconti dei genitori. Proprio come un domani i nipoti di Giacobazzi potranno fare grazie appunto a questa bellissima diapositiva del passato-presente-futuro impressa nello scorrere del tempo.

Si ride moltissimo, ve lo assicuro. Ci si emoziona, vi assicuro anche questo. Si torna a casa con qualcosa in più, arricchiti, come sempre accade quando un monologo umoristico non è soltanto questo e un comico è tanto altro. Soprattutto, non si rimane indifferenti, si finisce con il condividere memorie, emozioni e pensieri, specialmente nel momento in cui – scenografia in movimento alle spalle a riprodurre una ferrovia, simbolo in un certo qual modo del progresso, del nuovo che avanza, ma anche del viaggio che compiamo in questa nostra bizzarra esistenza – Giacobazzi prende in mano la chitarra e canta al suo pubblico affezionato “Father and son” di Cat Stevens, pochi minuti di note e parole dentro cui un altro grande artista, tempo fa, riuscì ad esprimere un concetto tanto elementare, quanto vero: “I was once like you are now and I know that it’s not easy to be calm when you’ve found something going on. But take your time, think a lot, why, think of everything you’ve got, for you will still be here tomorrow, but your dreams may not”.

 

Per restare aggiornati sulle date del tour: www.giuseppegiacobazzi.com.

  

 

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