LA TRAMA DEL NUOVO LIBRO DI PICCA La vita, la morte, l’eredità, la roba. Le regole del sangue. Un mondo posseduto da riti primitivi e passioni inestinguibili, un mondo di uomini dolci come il miele e feroci come animali, attaccati con pelle e unghie alla terra. Questo mondo e la sua epopea di donne devote, di gente che si toglieva il pane di bocca per amore della roba, rivive nelle pagine del romanzo che il nonno Aurelio, uomo di fede repubblicana e mangiapreti, incitava l’autore a scrivere, e che è intitolato alla fortuna. Nella fortuna il vecchio aveva sperato per ricostituire il patrimonio che il capostipite, nonno Arcangelo, aveva dilapidato, tra amori e odi, grandezze e miserie. Aurelio, prossimo alla morte, aveva mostrato al nipote prediletto delle schegge di legno dorato, donate a lui da Arcangelo; le aveva conservate in gran segreto nella disperata speranza che potessero tornare a essere le ali dell’Arcangelo Michele, il protettore del capostipite, e riportare la famiglia agli antichi splendori liberandola finalmente dal fato avverso e crudele. Le parole dell’autore ne hanno tramandato la memoria ai discendenti di Arcangelo e Aurelio. Anche se non saranno mai più proprietari del Regno di Colle di Pietra, la terra nessuno riuscirà più a sottrargliela. (dalla scheda) LO SPECIALE
di Antonio Prudenzano
Desiati
Aurelio Picca ha da poco pubblicato per Rizzoli "Se la fortuna è nostra", libro che in quest'intervista definisce, a ragione, "veramente necessario". Proprio in questi giorni si fa il nome dello scrittore, poeta e video maker nato a Velletri nel 1957, per una possibile candidatura al premio Strega (tra l'altro, dal 1998 l'autore fa parte degli Amici della Domenica). Rcs Libri, al momento, deve ancora prendere una decisione in merito (qui tutti gli aggiornamenti, ndr). Di certo, a Picca non piace essere paragonato all'amico Pennacchi (che lo scorso luglio si impose un po' sorpresa al Ninfeo): "Di Pennacchi ho stima, ma non vorrei essere scambiato per lui. E' vero, siamo vicini anche geograficamente visto che io lo 'osservo' dall'alto dei Colli Albani e che ci separano solo una trentina di chilometri, ma è anche questione di nomi... lui ha i 'pennacchi' e io la 'picca', un'antica arma...". Non ce ne voglia Aurelio Picca, ma come Pennacchi ha la battuta prontissima.
L'autore
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Lo scrittore laziale ha esordito nel '90 con una raccolta di poesie, "Per punizione". E' invece datato '92 il suo debutto nella narrativa, con la raccolta di racconti "La schiuma". Giustamente, l'autore ci tiene molto alla sua ultima creatura, della quale ci dice: "Se la fortuna è nostra è un libro che mi sono scritto per vent'anni sul corpo, quindi mi interessa solo che venga letto e capito. Avevo dato la mia parola anche ai morti che l'avrei scritto e ce l'ho fatta, questo mi basta. Lo Strega mi interessa fino a un certo punto...". E subito aggiunge: "La critica finora è stata generosa, ma a rendermi felice sono stati soprattutto gli ottimi riscontri ricevuti dai lettori. E' importantissimo il giudizio del pubblico, quello che si pone davanti a un libro in maniera passiva. Un pubblico fatto da massaie e uomini normali". Poi Picca chiude così (per ora...) il discorso sullo Strega: "E' il premio degli editori, se la vedranno loro. Fin da bambino, essendo stato un orfano, sono stato addestrato alle difficoltà. La mia fragilità d'orfano è diventata una forza. Non sono abituato ad attendere le decisioni altrui, ma in questo caso non posso fare altrimenti".
Di certo, lo scrittore reduce da un libro emotivamente impegnativo come "Se la fortuna è nostra", è già pronto a rimettersi a scrivere: "Ho ancora due o tre libri importanti da scrivere. Un romanzo su un palazzo enorme, dove tutti ascoltano i rumori e non si sa perché, poi un libro 'terribile' su mia madre, a cui ho già dedicato 'Sacrocuore' (2003), che spero sia ripubblicato da Rizzoli. E infine, credo che scriverò anche un terzo libro, 'interiore'...". Ma cos'è un libro 'terribile' per Aurelio Picca? "Un romanzo è 'terribile' quando è scandalosamente vero. E in Italia se ne scrivono pochissimi".
In queste settimane si parla tanto dei discussi festeggiamenti per i 150 anni dall'Unità d'Italia: "Sono già stufo, ma solo perché ne ho parlato per tutta la vita nei miei libri. Ad esempio, nel '98 Rizzoli ha pubblicato 'Tuttestelle', in cui raccontavo la storia d'Italia attraverso gli occhi di un bambino. E nel 2004 ho scritto (e pubblicato nel 2007) anche un poemetto attualissimo e provocatorio, 'L'Italia è morta, io sono l'Italia'...".