L’OTTO ORIZZONTALE di Stefano Domenichini, CAMERA D’ARIA di Giuliano Maroccini
di Alessandra Peluso
Versi e prosa, prosa e versi uniti volutamente in questo intervento. Si tratta per l’appunto, di due pubblicazioni della novella casa editrice Fallone Editore incluse senza racchiuderle da uno spazio che li accomuna: una camera, un luogo d’incontro tra fraintendimenti, menzogne, verità. Un interstizio nel quale prevalgono dualità e unicità alle volte in complicato dialogo.
Così, “L’otto orizzontale” di Stefano Domenichini, è un romanzo di grande ironia e di gioco tra i giovani protagonisti che sono, non sono, si immaginano, fino ad inventarsi altro. Il lettore si sollazza, accompagnato da una scrittura asciutta, fluida, in una trama ben congegnata. Tra il serio e il faceto. Il romanzo fa parte della collana “Gli Specchi Mercuriali”, dedicata ai migliori prosatori contemporanei. Ed è un tutto dire, come la raccolta di versi, 12 poesie, esordio di Giuliano Maroccini: “Camera d’aria”. Questa compresa nella “Collana Il Leone Alato”, specchio riflettente in nuce l’esplosione della nascita, collana dedicata a plaquette di dodici poesie.
La vita è uno specchio: riflette l’esperienza, ciò che l’individuo è stato ed è, è un concorrere con se stesso, in modo non sempre coscienzioso o responsabile. Ogni essere umano ha la sua particolarità che in questa silloge si manifesta a chiare lettere; si legge infatti, nella prefazione di Andrea Leone: “la poesia di Maroccini attraversa l’esperienza dell’umano nella sua precarietà, nella sua spoglia, inerme concretezza e domanda di senso. A ciò si aggiungono l’elemento visivo e la particolarità musicale del linguaggio”.
E così: «Trascrivo / senza gloria e tormento la foglia, / la talpa, il dettato del vento. / Non è umano splendore / è il gatto che guarda, / l’odore, la mattina tarda / l’impreciso momento / le mani a difesa, la porta / di casa, l’invero, / la resa» (p. 4); mentre, «Scopro lo spazio, crolla la vertigine / l’acqua sorgente / si mescola, a quest’elegia / del niente, e pago dazio / all’origine, all’aver veduto / il tuo volto nella chiarità, / nella fuliggine» (p. 8). A suon di rock, dalla poesia di Maroccini si ballonzola, giungendo nelle braccia poco confortevoli della prosa di Domenichini: «Il punto viene prima dello spazio e del tempo. Vamolà. Se unisci due punti, allora la storia cambia, si comincia a ragionare di larghezza, lunghezza, profondità. Ma un punto solo no, è soltanto un possibile universo che può esplodere, e, se non esplode, è solo qualcosa che abbiamo perduto» (p. 1).
Non perderà certo occasione il lettore per leggere “L’otto orizzontale”, di Stefano Domenichini e “Camera d’aria”, di Giuliano Maroccini. Non si accontenterà di leggerli in modo superficiale, ma come è consono, si dovrà lasciar guidare negli ‘abissi senza sponde’ dell’anima e della mente, risalendo con l’ironico sorriso di chi ha compreso come vada la vita; o forse, di come vorrebbe andasse nell’immaginifica realtà dei personaggi in particolare, dell’essere umano nel senso universale.
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