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Culture
Orfani bianchi, ecco il nuovo romanzo di Antonio Manzini. Estratto

ORFANI BIANCHI di Antonio Manzini Chiarelettere, Milano 2016

“Volevo misurarmi con un personaggio femminile. Una donna unica con una vita difficile che per trovare un angolo di serenità è pronta a sacrifici immensi. Mia nonna stava morendo, io guardavo Maria che le faceva compagnia e veniva da un paesino della Romania. E mi domandavo: quanto costa rinunciare alla propria famiglia per badare a quella degli altri?” 
Antonio Manzini


Mirta è una giovane donna moldava trapiantata a Roma in cerca di lavoro. Alle spalle si è lasciata un mondo di miseria e sofferenza, e soprattutto Ilie, il suo bambino, tutto quello che ha di bello e le dà sostegno in questa vita di nuovi sacrifici e umiliazioni. Per primo Nunzio, poi la signora Mazzanti, “che si era spenta una notte di dicembre, sotto Natale, ma la famiglia non aveva rinunciato all’albero, ai regali e al panettone”, poi Olivia e adesso Eleonora. Tutte persone vinte dall’esistenza e dagli anni, spesso abbandonate dai loro stessi familiari. Ad accudirli c’è lei, Mirta, che non li conosce ma li accompagna alla morte condividendo con loro un’intimità fatta di cure e piccole attenzioni quotidiane.

Ecco quello che siamo, sembra dirci Manzini in questo romanzo sorprendente e rivelatore con al centro un personaggio femminile di grande forza e bellezza, in lotta contro un destino spietato, il suo, che non le dà tregua, e quello delle persone che deve accudire, sole e votate alla fine. “Nella disperazione siamo uguali” dice Eleonora, ricca e con alle spalle una vita di bellezza, a Mirta, protesa con tutte le energie di cui dispone a costruirsi un futuro di serenità per sé e per il figlio, nell'ultimo, intenso e contraddittorio rapporto fra due donne che, sole e in fondo al barile, finiscono per somigliarsi.

Dagli occhi e dalle parole di Mirta il ritratto di una società che sembra non conoscere più la tenerezza. Una storia contemporanea, commovente e vera, comune a tante famiglie italiane raccontata da Manzini con sapienza narrativa non senza una vena di grottesco e di ironia, quella che già conosciamo, e che riesce a strapparci, anche questa volta, il sorriso.

Antonio Manzini ha lavorato come attore in teatro, al cinema e in televisione, e ha curato la sceneggiatura dei film Il siero della vanità (regia di Alex Infascelli del 2004) e Come Dio comanda (regia di Gabriele Salvatores del 2008). Con Sellerio ha pubblicato racconti e romanzi gialli con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone, poliziotto fuori dagli schemi, poco attento al potere e alle forme: Pista Nera (2013), La costola di Adamo (2014), Non è Stagione (2015), Era di maggio (2015) e il recente 7.7.2007 (2016), per settimane in testa alle classifiche dei libri più venduti. Sempre nel 2016 ha pubblicato l’antologia Cinque indagini romane per Rocco Schiavone e il racconto satirico Sull’orlo del precipizio (Sellerio). Suoi racconti sono presenti nelle antologie poliziesche Turisti in giallo, Il calcio in giallo, Capodanno in giallo, Ferragosto in giallo, Regalo di Natale, Carnevale in giallo e la Crisi in giallo, tutte pubblicate da Sellerio.

ESTRATTO DA ORFANI BIANCHI (per gentile concessione di Chiarelettere)

«Ciao Mirta...» le sorrise il prete. Poi si chinò a raccogliere un ceppo di legno che gettò nel fuoco. «Ti piacciono i fagioli nel minestrone?» Mirta annuì sapendo che Ilie li detestava. Si sedette sul letto. Guardò l’ora: le sei e mezza. Accese il cellulare ed entrò in chat. Il nome di Nina Cassian era già verde, segno che l’amica era in linea.

– Eccomi Nina... – Come ti senti Mirta? – Uno schifo. – Sei a casa? – Non c’è più la casa, Nina. Non c’è più nulla. È tutto bruciato. C’è rimasto qualche muro e una finestra. – Hai parlato con padre Boris? – Sono qui con lui e Ilie. Ilie non parla. Mi guarda e non dice niente. Ha gli occhi spenti e l’ho trovato magro, Nina. Magro come un gatto randagio. – Io ho chiesto in giro. Per Ilie. Dovresti fare come Marisha e come ha fatto Lyudmilla. – ... – Mirta? Mirta ci sei? – ... – Mirta? – L’internat? – Sì. Altra soluzione non c’è. – Come faccio a mettere Ilie in un internat? Ti rendi conto Nina? – Lyudmilla ha i suoi a Chi¸sina˘u, all’internat numero 1 da tre anni. Stanno bene. Studiano, mangiano, fanno i compiti, giocano e hanno un sacco di amici. – Non mangiano, Nina. Studiano poco. E stanno in otto in una stanza! – Hanno una casa. – È un orfanotrofio. – Li ospitano e gli vogliono bene. – Ti sei accorta che io sono ancora viva? – Per favore, stammi a sentire. Tu eri fortunata, avevi mamma. Ma ora devi pensare a come fare. Puoi portare Ilie in Italia? – No. – E allora? Sarà solo per poco tempo. Uno, al massimo due anni. Poi si aggiusta. Chiedi a Lyudmilla. Ce l’hai l’indirizzo? – L’internat no! – Chiedi a Lyudmilla. Non fare sciocchezze Mirta. Chiedi a Lyudmilla!

Mirta alzò gli occhi. La madre di padre Boris s’era addormentata con la bocca aperta. Il sacerdote girava il cucchiaio di legno nella pentola. «Che succede?» le chiese, ma Mirta non rispose. «Hai avuto una brutta notizia?» Mirta fece sì col capo. Poi guardò il cellulare che teneva fra le mani. «La vuoi condividere con me?» «No padre Boris. No...»

Passò la notte a guardare il soffitto basso della casetta. Da dietro la tenda si sentiva il russare del prete e di sua madre. Mirta teneva una mano di suo figlio che le dormiva accanto. Che faccio, pensava, che faccio? Fuori era ricominciato a piovere. L’acqua tamburellava il tetto sottile e i vetri della finestra, nel camino erano rimaste solo le braci. Mirta si tirò la coperta fin sotto il mento. Inutile girarci intorno. Nina aveva ragione, altre soluzioni non ce n’erano. L’internat. Solo la parola le faceva venire un brivido nella spina dorsale e le chiudeva la gola. Che razza di madre sei se sei costretta a mettere tuo figlio in un orfanotrofio? Che razza di madre sei?

Non lo sapeva. Era una madre sola, e il mondo era un masso, un enorme masso che rotolava per una discesa e lei poteva solo scappare e cercare un posto dove nascondersi. Perché quello acquistava velocità, giorno per giorno, e se non fosse riuscita a evitarlo, a farlo rotolare via, l’avrebbe schiacciata sotto il suo peso. L’alba la sorprese con gli occhi ancora aperti. Si alzò lentamente per preparare la colazione. Non voleva svegliare Ilie. In quei giorni la scuola poteva anche aspettare. Riempì il pentolino dal rubinetto che sputava un filo di acqua. Poi lo mise a bollire per il tè. La tenda di padre Boris si spalancò e apparve il sacerdote, già vestito con la tonaca. «Buongiorno Mirta.»

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