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Economia
Big Pharma, luci ed ombre nell’anno della pandemia

La fine del 2019 e tutto il 2020, durante il pieno della pandemia, hanno messo sotto i riflettori e, soprattutto, sotto una pressione indicibile il mondo delle Big Pharma.

Molti giganti del settore, come Sanofi, GSK e Merck, nonostante le competenze, le capacità finanziarie e l’esperienza su molti altri vaccini non sono state in gradi di sviluppare un prodotto contro il Coronavirus. E per questo sono state punite dalle Borse mondiali.

Al contrario realtà giovani, sconosciute fino ad allora, come le americane Moderna e Novavax, le tedesche BioNTech e Curevac sono state ripagate dal mercato azionario. Tra queste elette sicuramente Pfizer, Astrazeneca e Johnson & Johnson. E tutte hanno guadagnato, nonostante per AstraZeneca, ci siano stati colpevoli ritardi sulle forniture, rarissimi casi critici di trombosi correlati e una comunicazione insufficiente.

In questo ristretto numero di aziende virtuose un posto spetta anche a due, che di fatto, sono a maggioranza statale, come quelle che hanno sostenuto la ricerca del vaccino russo Sputnik V e di quello cinese Sinovac.

In ogni caso il 2020 è stato un anno complicato per tutta la farmaceutica mondiale, indipendentemente dai vaccini contro il Covid-19. Le farmaceutiche hanno dovuto sopportare, a fronte di investimenti in ricerca ciclopici, blocchi e ritardi nelle sperimentazioni cliniche per arrivare ai vaccini, rallentamenti pesanti da parte delle agenzie regolatorie del farmaco, forti diminuzioni per l’approvazione di farmaci per differenti patologie e minori vendite di dispostivi o farmaci per malattie differenti al Coronavirus.

Quindi, nonostante sia facile pensare che nell’anno della pandemia le aziende abbiamo fatto enormi guadagni la realtà non è proprio così. Moderna, ad esempio, è cresciuta da 60 milioni di dollari entrati nel 2019 a 800 milioni lo scorso anno, grazie a un quarto trimestre contraddistinto dalle vendite di vaccini e sovvenzioni pubbliche. Ma in realtà , Moderna ha perso 747 milioni di dollari, contro i 514 milioni del 2019 proprio per l’impegno in ricerca  (triplicato)sui vaccini.

Investimenti “mostre” che verranno premiati nel 2021. Solo per Moderna gli ordini sono quasi di oltre 500 milioni di dosi solo dagli Stati Uniti, 300 dall’Europa, 44 dal Canada,50 dal Giappone e 40 dalla Corea del Sud.

Chi ha puntato tanto sui futuri guadagni è stato Warren Buffet che attraverso il suo fondo Berkshire Hathway ha acquistato 5 miliardi di dollari di azioni di farmaceutiche.

Il 2020 è stato l’anno in cui le aziende hanno deciso di scommettere sui vaccini, sperimentarli e poi distribuirli. Il 2021  invece è quello in cui si darà la massima potenza alla produzione.

Pfizer ha speso tanto nella ricerca (9.405 milioni nel 2020, rispetto agli 8.394 milioni dell'anno prima). E spera in un ritorno economico di 15.000 milioni di dollari per oltre  2.000 milioni di dosi.

Johnson & Johnson prevede di distribuire circa 1 miliardo di dosi, l’equivalente di 10 miliardi di dollari.

In ogni caso per tutte rimangono alti i problemi di immagine per essere ritenute protagoniste insensibili, che vogliono guadagnare tanto, su prodotti salvavita. Per quelle rimaste fuori dalla partita vi è sempre la possibilità di produrre i vaccini di chi detiene i brevetti.

Merck, in grado di progettare trattamenti utili per Ebola o HIV, produrrà il vaccino Johnson & Johnson. Sanofi farà lo stesso per produrre 100 milioni di dosi di Pfizer. Bayer e GSK guadagneranno rispettivamente 160 e 100 milioni con CureVac.

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