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Economia
Coronavirus, le banche congelano le cedole? Fondazioni a secco per 652 milioni

In una crisi complessa come quella causata dall’esplodere della pandemia di Covid-19 in tutto il mondo, le banche restano un ganglio vitale dell’economia di ogni paese. Si capisce dunque l’importanza dell’invito avanzato dalla Vigilanza Bce alle banche europee d’importanza sistemica (richiesta reiterata anche da Banca d’Italia per gli istituti sotto la sua supervisione) di “astenendosi dal distribuire dividendi” legati agli esercizi 2019 e 2020 almeno fino al prossimo ottobre e dal “portare avanti programmi di buyback” nel corso dell’anno.

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La Bce suggerisce di utilizzare il capitale così conservato, pari a 30 miliardi di euro in totale, “per sostenere famiglie, Pmi e grandi imprese e/o per assorbire perdite da esposizioni esistenti a tali mutuatari”, ossia per non lasciare lievitare nuovamente gli Npl, di cui le banche italiane si sono faticosamente ripulite in questi anni (a fine gennaio lo stock era calato a 49,5 miliardi lordi, dai 143 miliardi di fine 2016). L’invito, che non costituisce un obbligo, giunge dopo che la European banking federation (Ebf) non ha trovato una posizione comune sui dividendi a valere sui conti 2019, lasciando ai singoli istituti la decisione se pagarli o differirli.

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Anche l’Ebf aveva peraltro raccomandando di congelare dividendi e buyback riferiti al 2020 e qualche istituto si era portato avanti, come il Banco Santander (che lunedì ha annunciato lo slittamento all’anno prossimo del pagamento del dividendo previsto per quest’anno). In Italia per ora a parte chi aveva già deciso di non distribuire dividendi (come il Credito Valtellinese) o non può comunque farlo (Mps e Banca Carige), solo Intesa Sanpaolo ha fatto sapere che l’ordine del giorno del Cda del 31 marzo “includerà l’esame della comunicazione della Banca centrale europea riguardante la politica dei dividendi nel contesto conseguente all’epidemia da Covid-19”.

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Nessun commento sinora da altri istituti, anche se è possibile che altre banche riprendano in esame la questione. Ad oggi le banche italiane quotate hanno preannunciato la distribuzione di dividendi per complessivi 5,2 miliardi, una cifra che appare di poco inferiore a quanto hanno in programma di distribuire i due colossi francesi Credit Agricole (quasi 2,02 miliardi) e Bnp Paribas (oltre 3,87 miliardi) presenti in Italia rispettivamente con le controllate Cariparma e Friuladria la prima, con Bnl la seconda. 

Se si considerassero anche i 463 milioni del previsto buy-back di Unicredit e una quota dei dividendi di Credit Agricole e Bnl Paribas di circa 440 milioni (proporzionale alla percentuale di utili che i due colossi realizzano in Italia rispetto al loro risultato netto complessivo), seguendo il “consiglio” della Bce i principali istituti di credito operanti in Italia potrebbero disporre di 6,1 miliardi di euro da erogare a famiglie e imprese. Miliardi che andrebbero a sommarsi agli oltre 23 miliardi di finanziamento già messi a disposizione (con plafond) delle imprese per far fronte alla crisi da Intesa Sanpaolo (15 miliardi), Mps (5 miliardi), Banco Bpm (3 miliardi), arrivando a quasi 30 miliardi di finanziamenti disponibili. 

Se invece le banche tirassero dritte e distribuissero i dividendi previsti, una parte si trasformerebbe comunque in un sostegno all’economia italiana visto che nel capitale degli istituti sono tuttora presenti le Fondazioni, che tra i loro scopi statutari hanno appunto il sostegno al tessuto economico delle aree in cui operano. Tuttavia in questi anni il peso delle fondazioni si è fortemente ridotto: in Intesa Sanpaolo rappresentano ancora il 16,5% del capitale e in Ubi Banca il 10,9% circa, ma in Unicredit il loro peso è sceso al 5,2%, in Banco Bpm al 3,7%, in Bper Banca al 6%

Nel complesso alle fondazioni bancarie andrebbero così poco più di 652 milioni, ovvero il 12,5% del monte dividendi complessivo: poco più di briciole, ma comunque un piccolo aiuto ad un’economia in questo momento congelata. Se lo stato, come ha suggerito in questi giorni anche l’ex presidente della Bce (ed ex governatore di Banca d’Italia), Mario Draghi, garantisse a costo zero i prestiti concessi dal sistema bancario ad aziende private e famiglie, alle prese con l’azzeramento di fatturati e redditi dovuto al “lockdown”, consentirebbe di trasformare i mancati ricavi in debito privato e contestualmente il debito privato in debito pubblico (che alcuni vedono infatti salire oltre il 170% del Pil nel caso italiano). 

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In questo modo si contribuirebbe a evitare la totale desertificazione dell’economia italiana, sia pure a rischio di sussidiare anche una serie di imprese-zombie (il cosidetto “rischio morale”), sfruttando da subito i maggiori acquisti di titoli di stato garantiti dalla Bce. Il tutto in attesa di capire, a crisi superata, come (eurobond, Mes o altro) e con che costi si potrà gestire il nuovo rapporto debito/Pil, che potrebbe apparire insostenibile in assenza di correttivi. Una terra incognita per arrivare a esplorare la quale è tuttavia necessario prima di tutto riuscire a superare la crisi. 

Vista la gravità della crisi stessa, non ancora pienamente compresa da tutti i paesi europei (ma benissimo dalle aziende che ove possono stanno tutte “tirando” linee di credito finora lasciate inoperose), anche qualche miliardo in più di liquidità trasformabile in credito bancario (che aumenterebbe così da 24 fino a un massimo di 30 miliardi) per i prossimi 6 mesi può fare la differenza tra riuscire nell’impresa o veder fallire il tentativo con tutte le conseguenze che ne deriverebbero.

Luca Spoldi

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