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Economia
Coronavirus,risolvere crisi: redditi invariati e copertura costi fissi imprese

Tentiamo di pensare in termini economici i problemi che stiamo affrontando. Si potrebbe supporre che lo scopo dei nostri interventi fiscali sia principalmente, anzi totalmente, conservativo: conservare lo status quo aggredito dal virus, in attesa di neutralizzarlo o immunizzandocene. Le attività produttive, e le organizzazioni entro le quali si svolgono, sono divise in due tipi: quelle che possono, anzi che devono, essere continuate, perché sono essenziali (I) e le altre, che devono essere sospese (II). Io avrei pensato che una divisione più sensata fosse quella tra attività che possono essere svolte, se necessario con piccole modificazioni organizzative, senza pericolo di contagio e quelle per cui questo è impossibile.

In pratica, la divisione che si sta realizzando è probabilmente un compromesso tra i 2 criteri distintivi. La conservazione comporta che a)  i redditi delle famiglie siano mantenuti al loro livello precedente, e b) le imprese del settore II ricevano il credito che sia loro sufficiente per giacere addormentate senza estinguersi (cioè di continuare a pagare i costi fissi.) Come è possibile mantenere invariati i redditi delle famiglie? Utilizzando i sussidi di disoccupazione per le famiglie di dipendenti dal settore II; con trasferimenti diretti per le altre in difficoltà (i cui membri operino nel settore in ombra dell’economia).

Se il mantenimento del reddito delle famiglie riesce, allora l’attività produttiva nel settore I dovrebbe nel complesso restare invariata o aumentare perché la domanda aggregata dovrebbe restare costante; anzi il potere d’acquisto rivolto verso i beni prodotti nel settore I dovrebbe aumentare perché la quota di domanda aggregata rivolta verso i beni del settore II non potrà essere soddisfatta. Potrebbero aumentare anche il risparmio e le importazioni. E la produzione nel settore I potrà aumentare? Questo dipende se il settore I ha bisogno di beni e servizi prodotti nel settore II o no, e se sì: se possa sostituirli con dei beni importati.

Però il problema di gestire l’economia italiana non si esaurisce qui. Vogliamo e dobbiamo andare oltre la mera conservazione. Vogliamo trovare il modo di riassorbire, gradualmente o di colpo, il settore II nel settore I. Lo possiamo chiamare il problema della congiunzione. Parrebbero esserci almeno 2 strade: la prima comporta un esame in ciascuna industria del settore II per proporre degli espedienti tecnici e/o organizzativi che rendano possibile l’attività produttiva senza rischio di contagio. Questo è un compito a cui medici, ingegneri, sindacalisti potrebbero lavorare fruttuosamente. (Io spero che almeno le direzioni aziendali lo stiano facendo, invece di brigare, come molti fanno, per farsi trasferire di settore.)

Nel caso di un bar o un ristorante forse non sarà possibile, anche se ho già visto a Castellina Marittima un’apprezzata Osteria trasformarsi provvisoriamente in un catering service con fantasiosa ricchezza di menu, e suppongo lo stessi stia avvenendo in tutta Italia. Nel caso dell’attività edilizia credo che in generale lo spazio per il distanziamento non manchi. Andrebbero forse introdotte delle procedure di sicurezza che comportino la minimizzazione dei tempi di prossimità di due o più lavoratori. Così, man mano che questi adeguamenti vengono realizzati, avremmo una graduale ripresa dell’attività produttiva del settore II.

La seconda strada è stata proposta dall’economista statunitense Paul Romer. Vengono introdotte (cioè prodotte e/o acquistate) delle macchine mediche che consento di fare i test a tutta la popolazione. Quelli che risultano indenni possono tornare al lavoro, gli altri fanno una quarantena di due settimane. I test vengono ripetuti ogni 2 settimane sino a che dura il contagio, sia dai lavoratori attivi che da chi ha appena finito la quarantena. Così qui sin dall’inizio la divisione in due settori scompare. Discutere dei meriti relativi delle due strade sarebbe interessante, ma ci porterebbe lontano. Spero che nel governo qualcuno se ne stia occupando.

Vi è un terzo problema, forse il più importante e difficile: come gestire la transizione tecnologica. Dobbiamo rimuovere l’assunzione che per un’economia affrontare il coronavirus sia un compito di conservazione e di congiunzione, ossia di graduale ripresa dello status quo. Sarebbe irrealistico puntare allo status quo produttivo. Il coronavirus potrebbe restare con noi per un paio di anni. Il virus invade i luoghi di lavoro, e abbiamo visto come affrontarlo, ma anche molti luoghi di consumo (che sono pure, per alcuni, luoghi di lavoro). Molte attività che dal punto di vista delle famiglie rientrano nel consumo: non solo bar e ristoranti ma anche spettacoli cinematografici, teatrali, musicali, sportivi, e attività turistiche, si svolgono creando a volte anche enormi concentrazioni di individui.

Basti pensare ai guai provocati dalla partita Atalanta-Valencia giocata a Milano il 19 Febbraio o, su più piccola scala, ai focolai di contagio creati in Germania da due gruppi di giovani che si erano recati in due località alpine in Austria. Problemi a sé sono i settori importantissimi dei trasporti, dell’istruzione, della sanità e dell’assistenza agli anziani. Ad esempio, l’ultima volta che ho volato, a metà febbraio, mi trovai a contatto, ovviamene, con le persone della mia fila di sedili.

Ma l’aereo era mezzo vuoto, e prima che io mi alzassi per andare a chiederlo uno steward venne da me proponendomi di retrocedere di alcune file, dove non c’era nessuno. Tuttociò dovrà essere riconsiderato e ripensato. La forma di molti mezzi di trasporto così com’è non va. Fioriranno idee nuove, che si tradurranno sia in nuovi prodotti sia in innovazioni ingegneristiche organizzative architettoniche e urbanistiche Vi sarà, suppongo, un grande sviluppo della virtualità, anche se pure qualche volta dovremo ricordarci di avere un corpo e lasciarlo svagare, un po' come se fosse il nostro cane...  

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