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Economia
Eurogruppo, De Romanis: "Per l'Italia strumenti da 100 miliardi"

"Il piano messo in campo dall'Eurogruppo? E' un buon compromesso. Alle misure già prese dall'Ue come la sospensione delle regole fiscali, decisione mai vista prima o la disponibilità della Bce a comprare più di 1.000 miliardi di titoli di Stato entro la fine dell'anno, vanno ad aggiungersi strumenti che valgono circa 100 miliardi di euro per l'Italia". Pacchetto di cui farà parte anche il "Recovery Fund proposto dalla Francia e ancora da creare". L'economista Veronica De Romanis, docente di Politica economica europea alla Luiss, traccia con Affaritaliani.it un bilancio della riunione dei ministri delle Finanze dell'eurozona sul piano comunitario per contrastare gli effetti economici e sanitari dell’emergenza Covid. Piano che arriverà sul tavolo del Consiglio Ue la prossima settimana. "Sugli Eurobond - dice l'economista - è stato fatto un errore di comunicazione". Ma non solo. "Il nostro Paese ha bisogno di soldi nell'immediato", spiega.

L'INTERVISTA

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Come valuta l’accordo in sede di Eurogruppo sugli strumenti per contrastare gli effetti economici e sanitari dell’emergenza Covid?
"E' un buon compromesso di differenti posizioni, alcune anche molto distanti. Se andiamo ad osservare nel dettaglio le misure messe in campo, bisogna ricordare che l'Unione europea aveva già deciso di intervenire con una notevole potenza di fuoco. Innanzitutto, con una decisione che non si era mai vista prima, Bruxelles ha sospeso tutte le regole fiscali. A questo, deve aggiungersi l'intervento della Bce che entro la fine dell'anno comprerà più di 1.000 miliardi di titoli di Stato. Ciò significa che, siccome le regole sono sospese, i Paesi dell'eurozona potranno spendere, perché la banca centrale comprerà i titoli". 

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E gli altri strumenti messi a disposizione degli Stati membri?
"C'è l'European Stability Mechanism, il Mes (fondo salva-Stati, ndr) già creato in passato e che è possibile utilizzare per le spese sanitarie dirette e indirette. Qui, bisognerà capire cosa si intende con spese indirette. All'atto pratico, credo ci sia una una discrezionalità piuttosto elevata per valutare. Per l'Italia dovrebbero essere circa 36 miliardi di euro di prestiti. Poi ci sono gli aiuti della Banca europea degli investimenti (Bei) che, sempre per il nostro Paese, equivalgono a circa 30 miliardi, il sostegno alla cassa integrazione nazionale proposto dalla Commissione europea, il fondo Sure che consiste in circa 20 miliardi e i fondi strutturali europei che si possono riutilizzare e che ammontano a circa 40 miliardi. Il tutto per un totale di circa 100 miliardi. Non è poco. Infine, c'è il Recovery Fund proposto dalla Francia: è un fondo temporaneo, ancora da creare e disegnato per la crisi. La prossima settimana il Consiglio europeo dovrà valutare come finanziarlo. Si tratta di un processo che richiederà tempo".

Bruno Le Maire
 

Come viene percepito tutto ciò in Italia? 
"Credo che siano stato commesso un errore di comunicazione, diviso in due parti".

Quali?
"Quando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha affermato: 'Sì agli Eurobond e no al Mes', a mio avviso ha fatto un enorme errore. Si è messo nell'angolo dal punto di vista di come spiegarlo all'Italia e all'opposizione, ma anche alla sua maggioranza. Intanto, perché c'è un problema di tempi. Il premier sta paragonando due strumenti di cui uno già esiste, il Mes e l'altro, gli Eurobond, ancora da creare. Anche se tutti gli altri Stati membri fossero d'accordo, questi strumenti vanno varati e ci vorrebbe almeno un anno, ad esser ottimisti".

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Perché?
"Alcuni Paesi infatti dovrebbero fare un passaggio presso i loro parlamenti nazionali. In aggiunta,  poi, bisognerebbe creare il bilancio europeo, con gli Stati membri disposti a cedere un po' di sovranità fiscale. Se qualche Paese poi non ripagherà i debiti, gli altri dovranno rifondare al suo posto. E' un passaggio complicato e che richiede tempo. Quindi, dire 'no' a uno strumento che già c'è, il Mes e 'sì' invece a uno che non esiste, significa paragonare le mele con le pere. E' già un grande errore".

E il secondo?
"Riguarda la questione delle condizionalità associate al Mes, valutate come il più grande tabù in assoluto. Tutti gli stumenti europei sono condivisi e la condivisione richiede necessariamente una condizionalità. Non bisognerebbe parlare di condizionalità, ma di condivisione. Anche la Bce, se i titoli di un Paese diventano 'junk' (spazzatura, ndr) perché il debito pubblico viene espanso all'infinito, smette di comprare. Non è possibile, quindi, fare tutto ciò che si vuole. Per quanto riguarda tutti gli altri strumenti, le decisioni sono collegiali: per accedere ai fondi Sure, un Paese membro deve prima avanzare una richiesta, proposta che viene valutata e approvata in un secondo momento dalla Commissione europea. Non è che si può poi utilizzare questi fondi per fini diversi dalla lotta alla disoccupazione. Stesso principio che vale per la Bei, i cui fondi devono esser impiegati in particolare per le Pmi e per il Recovery Fund, che rientra all'interno di un quadro europeo di condivisione degli strumenti. Se questo concetto fosse stato spiegato in maniera più chiara, forse oggi non ci troveremmo di fronte alle frasi del segretario della Lega Matteo Salvini che commenta che 'l'Italia è stata svenduta'. Parole che non significano nulla. Sono strumenti condivisi a livello europeo, in cui gli Stati membri si siedono al tavolo e decidono assieme. La parola usata 'condizione' andrebbe sostituita quindi con 'condivisione' per descrivere in modo più adatto le misure prese in sede Ue".

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I detrattori del Mes fanno leva su come è stato usato il fondo salva-Stati nella crisi greca...
"Primo, il Mes può anche non essere utilizzato. Non siamo obbligati a farlo. All'epoca della crisi dell'eurodebito, per esempio, l'allora presidente del Consiglio Mario Monti non lo usò, anche se l'Italia poteva accedervi. Secondo, quella passata, era una crisi diversa che faceva un utilizzo del Mes che non ha niente a che vedere con quello di cui si parla oggi. Basta leggere la riforma (del Mes, ndr), dove a proposito delle 'condizioni', si parla di condizioni che vanno 'adattate'. Si adattano, cioè, alle varie situazioni in cui si trova un Paese. Dopodiché bisogna ricordare un altro fattore".

Quale?
"Il Mes concede prestiti, non fa regali. L'Italia stessa, che nel 2012 ha partecipato da creditore a tutti i salvataggi europei dei cinque Paesi alla fine poi salvati, ha prestato dei soldi, non li ha regalati. E' molto utile per noi che Paesi come l'Irlanda o la Spagna che in passato hanno avuto accesso al fondo, ora, dopo aver terminato le riforme o messo a posto le proprie finanze pubbliche, crescano di più. Significa che ci possono rimborsare. Dopodiché se si vuole scegliere di regalare i soldi, è possibile farlo ma si tratta di una desione politica". 

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Possiamo intendere  i "meccanismi innovativi di finanziamento" che verranno usati per dotare il Recovery Fund di risorse finanziarie come un primo passo verso gli Eurobond?
"Un Eurobond è un titolo del debito pubblico che non ha per ora uno specifico utilizzo, uso che dovrà essere stabilito. Il Recovery Bond, come dice invece la parola stessa, dovrà essere impiegato per la ricostruzione. Ha una missione specifica, temporanea. Nella fase di normalità, immagino che questo strumento non ci sarà più. E' questa la differenza. L'Eurobond è uno strumento che deve essere creato a lungo termine, perché significa che il progetto europeo sta compiendo un passo in avanti verso l'unione fiscale e l'integrazione politica, obbligazione che poi rimarrà in vigore nell'architettura comunitaria. C'è una grande differenza".

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Un tempismo sbagliato, dunque, mettere ora sul tavolo europeo questo strumento...
"E' stato un errore anche per l'Italia, perché il nostro Paese ha bisogno di soldi nell'immediato, oggi pomeriggio, domani. Dobbiamo puntare sugli strumenti già esistenti e la nostra strategia negoziale deve essere quella di cercare di migliorare al massimo quello che c'è. In un secondo momento è necessario mettere in agenda discussioni per il futuro e quindi anche l'Eurobond, ma ora paragonare Mes ed Eurobond significa mettere sullo stesso piano strumenti non paragonabili. Oltretutto, è stato difficile poi spiegarlo in Italia per lo stigma che è stato attaccato al fondo salva-Stati". 

Cosa dovrebbe fare il premier Giuseppe Conte al prossimo Consiglio Ue?
"Confermare quanto messo sul tavolo dal proprio ministro dell'Economia. immagino che fra Palazzo Chigi e Mef ci sia stata una condivisione di strategia". 

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Sono sufficienti queste misure disegnate in sede europea per fronteggiare gli impatti economici del  lockdown da Coronavirus in Italia?
"Al momento, si tratta di circa 100 miliardi di euro, a cui si deve sommare poi il debito che emetterà il nostro Paese, indebitamento che verrà acquistato in parte dalla Bce. Abbiamo un po' di margine di manovra". 

All'orizzonte ci sono i giudizi delle agenzie di rating e i possibili downgrade del merito di credito dell'Italia. Stante la fase eccezionale, la Bce ha rinunciato ai suoi dogmi regolamentari e, riguardo alla Grecia, si è impegnata ad acquistare anche titoli di debito con rating “junk”. Teme crisi da avvitamento dello spread che possono ridurre la capacità del nostro Paese di finanziarsi sui mercati?
"Per il momento no. Per ora c'è la Bce, in campo sino alla fine dell'anno. E' chiaro che, terminata la prima fase di emergenza, bisognerà emettere debito buono e stendere un programma di medio-lungo termine per decidere dove investire. Questa crisi è talmente drammatica che richiede una ricostruzione programmata. Azione che non c'è stata, al contrario, nella precedente crisi. Siamo arrivati a questa situazione con un gap che non era ancora stato chiuso con il 2008. Prima dell'esplosione dell'epidemia eravamo ancora l'unico Paese che non aveva ancora recuperato i precedenti livelli di reddito medio pro-capite. Un errore che non possiamo assolutamente commettere di nuovo". 

@andreadeugeni

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