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Economia


 

Ferragamo Louvre (3)

Il "made in Italy" di lusso continua a piacere in borsa, dove Salvatore Ferragamo guadagna poco meno del 2% sfiorando quota 19 euro per azione, nonostante una mattinata non troppo brillante per il settore moda in tutta Europa dopo che in mattinata il colosso britannico Burberry ha annunciato vendite in rialzo del 9% (a cambi costanti)  nel terzo trimestre fiscale (chiuso a fine dicembre) a 613 milioni di sterline (+7% il dato grezzo) e ricavi delle vendite al dettaglio in crescita del 13% a 464 milioni (+11%), peraltro in parte compensate da un calo del fatturato delle vendite all'ingrosso, calate del 5% a 120 milioni (-7%).

Stante la persistente debolezza in Europa, Burberry si aspetta per la seconda metà dell'esercizio 2012/2013 una ulteriore flessione tra il 5% e il 10% circa (ossia compresa di una percentuale "low-mid single digit") dei ricavi wholesale, finora previsti sostanzialmente invariati rispetto all'anno passato. Tutto l'opposto del gruppo italiano, il cui numero uno, Michele Norsa, in un'intervista proprio al quotidiano britannico Financial Times ha preannunciato ieri un incremento dei listini di vendita al dettaglio nel vecchio continente entro il 5% ("low single digit") nei prossimi mesi, in risposta all'aumento degli acquisti da parte di clienti cinesi e asiatici in visita turistica in Europa, dopo che già Lvmh ha aumentato i propri prezzi mediamente dell'8%. 

Una decisione che secondo molti analisti consentirà a Ferragamo di preservare i margini, data la presenza delle sue vetrine (una parte delle quali verrà rinnovata) nelle maggiori città europee, le stesse in cui circa il 70% dei ricavi di vendite al dettaglio è legato agli acquisti dei turisti, specie di quelli dagli occhi a mandorla. In più Norsa ha confermato che oltre che in Cina il gruppo è intenzionato a crescere in America Latina, in particolare in Brasile, mercato che lo stesso manager aveva di recente previsto poter diventare il terzo più importante al mondo per il settore moda-lusso dopo Stati Uniti e Giappone, anche se il percorso previsto è ancora lungo, dovendosi ancora sviluppare completamente e aprirsi al commercio internazionale (è tuttora irrisolta la questione dei dazi doganali).

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