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Economia
Gedi, la vendita a John Elkann? Buco da oltre 100 milioni in Cir

Ora che il dado è tratto e che domani verrà annunciato il passaggio di consegne del pianeta Repubblica/Espresso sotto il marchio Gedi dalla famiglia De Benedetti all’Exor di John Elkann tutti si chiedono a quale prezzo avverrà lo storico cambio di proprietà. Stuoli di avvocati e advisor sono al lavoro anche in queste ore. Il prezzo è la variabile chiave. Quanto è disposto John Elkann a offrire senza strapagare un gruppo in crisi? Quante perdite i de Benedetti possono accettare pur di liberarsi della zavorra Gedi? 

LA DISTANZA ABISSALE TRA PREZZI DI BORSA E VALORE

Proviamo a caldo a fare qualche ipotesi. Il primo problema è garantire un’uscita ai due fratelli De Benedetti che non sia penalizzante oltremodo per la controllante Cir. E qui il nodo è difficile. Gedi è infatti in carico a Cir per quel 43% del capitale a 1,2 euro per azione. Equivale a un valore di bilancio in Cir di 273 milioni. Sotto quella cifra i De Benedetti venderebbero segnando una perdita. Accontentarli però da parte di Elkann presente nel capitale di Gedi con il 5,99% non sarà facile. 

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La quota di Elkann è a bilancio di Exor per 10,5 milioni di euro che valorizza il gruppo poco più di 200 milioni di euro. In più Exor acquistò sul mercato nel 2017 un altro pacchettino di azioni Gedi pari all’1,7% per 6,8 milioni. 

LA CRISI DI GEDI NEI NUMERI

Quell’ultima transazione avvenne ai prezzi di Borsa di due anni fa quando Gedi quotava 80 centesimi. In due anni il mondo di Gedi si è capovolto. Oggi in Borsa il titolo vale solo 28 centesimi per un valore di mercato di meno di 150 milioni di euro. Quei due anni coincidono con la lenta caduta di fatturato e soprattutto di redditività del gruppo editoriale. Che ha segnato la prima perdita della sua storia proprio nel 2017 con una perdita netta per 120 milioni. Certo figlia di eventi straordinari (la pendenza persa con il fisco in una querelle durata 20 anni), ma che non cambia molto il quadro del declino. 

Anche il 2018 per oneri straordinari si è chiuso in perdita per 32 milioni. Si depuri pure dagli oneri non ricorrenti, ma il dato chiave che conoscono sia i De Benedetti che Elkann è nella continua erosione del fatturato e nel forte ridimensionamento della marginalità industriale

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Il margine operativo lordo (Mol) del gruppo si è quasi dimezzato nel passaggio dal 2017 al 2018 e l’utile operativo è andato in rosso per 11 milioni a fine dello scorso anno. Trend di caduta in negativo dei margini che è proseguito. Nel primo semestre del 2019 a fronte di ricavi per 302 milioni il Mol si è attestato a soli 20 milioni, l’utile operativo segna 7 milioni e la perdita è stata di 19 milioni. 

Mentre nei primi nove mesi di quest’anno con il fatturato in calo di un altro 6% secco sui 12 mesi precedenti, i margini continuano a essere compressi con l’utile operativo che non va oltre il 3% e la perdita che si conferma per 18 milioni di euro. 

Anche qui pesano oneri straordinari. Tolti quelli l’utile sarebbe stato di appena 2,2 milioni su ricavi per 441 milioni. Tanta fatica per vedere profitti risicati anche escludendo le partite non ricorrenti. In queste condizioni difficile che si possano replicare le condizioni del 2017. Il quadro è radicalmente cambiato e ben si capisce perché i due fratelli De Benedetti vogliano sbarazzarsi dell’editoria. 

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GEDI IL LUMICINO DEL GRUPPO CIR

Ormai è il lumicino del gruppo Cir. Basti  pensare che mentre Kos e Sogefi, le due altre attività della holding, producono utili operativi per 50 milioni la prima e per 37 milioni la seconda, l’editoria di Gedi raccoglie solo 7 milioni. Già nel 2018 era evidente la marginalizzazione di Gedi rispetto alle altre attività. 

L’editoria faceva ricavi per 648 milioni con utile operativo negativo per 11 milioni; mentre Kos con ricavi per 544 milioni produceva utili operativi positivi per 66 milioni e Sogefi con 1,6 miliardi di fatturato ha un utile operativo di 62 milioni. 

Come si vede Gedi è ormai la palla al piede del gruppo quanto a profittabilità. E il declino è difficilmente arrestabile. Uscire finchè si è in tempo è da mesi il mantra di Rodolfo e Marco De Benedetti limitando le perdite il più possibile ed evitare di accollarsene in futuro. 

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Di fronte c’è l’unico compratore che può permettersi di tenere il prezzo più alto possibile per evitare che l’uscita di Gedi crei un buco nel bilancio di Cir. 

I NUMERI DEL COLOSSO EXOR

Ma anche se Exor è un gigante con ricavi per 143 miliardi; asset netti per 17 miliardi e utili nel 2018 per 5,4 miliardi a tutto c’è un limite. Per Elkann la partita Gedi è un pulviscolo nell’universo delle sue attività. Sarà anche disposto a spendere più del dovuto ma ovviamente senza eccedere. Alla fine si troverà quasi sicuramente un compromesso accettabile per entrambi. 

OK, MA IL PREZZO E’ GIUSTO?

Un premio molto generoso del 100% sugli attuali valori di Borsa porterebbe a un’offerta per il 43% della quota dei De Benedetti di poco più di 130 milioni. Con il prezzo pagato nel lontano 2017 per l’1,7% del capitale si arriverebbe a poco meno di 180 milioni che valorizzerebbe l’intera Cir la bellezza di 400 milioni. Di più difficile davvero pensare che Elkann possa spingersi. Sarebbe quasi grottesco. Per i De Benedetti vorrà comunque dire anche di fronte a un’offerta più che generosa farsi carico di una perdita secca per Cir sui valori di carico di Gedi di quasi 100 milioni. 

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Una perdita secca una tantum che però chiuderebbe per sempre l’avventura editoriale pluridecennale che rischia di zavorrare pesantemente la holding di famiglia. Certo Exor può permettersi di strapagare i giornali dato che al di là dei valori economici il loro beneficio immateriale spesso non ha prezzo. 

Soprattutto nel momento in cui Fca va a nozze con i francesi di Peugeot. Un matrimonio che rischia di avere pesanti effetti collaterali in termini di sacrificio occupazionale e produttivo che potrebbero essere chiesti al sistema Italia. La carta stampata e l’industria editoriale in genere sono ormai un lusso per mecenati, disposti a perdere quattrini pur di avere l’illusione di controllare la pubblica opinione

Nel caso di Gedi fonti vicine a John Elkann hanno fatto trapelare che non ci sarà “né uno spacchettamento del gruppo nè che si tratti di un'operazione nostalgica: quello che prenderà avvio la prossima settimana è un progetto imprenditoriale coraggioso, tutto proiettato al futuro. Obiettivo: assicurare a Gedi condizioni di stabilità che consentano alla società di evolvere velocemente, compiendo scelte che non possono più essere rimandate”. Un progetto che guarda al futuro è stato definito. Vedremo. 

LA ZAVORRA DI REPUBBLICA, IL GIOELLO DELLE RADIO

Certo è che in Gedi non tutti i business si equivalgono. Da un lato il vero gioiello del gruppo quello che limita in parte il calo di profittabilità. Sono le radio del gruppo. Fatturano solo il 10% del totale ma hanno margini lordi del 30%. Lì c’è del valore vero. Anche le testate locali, più la Stampa e Il Secolo riescono a produrre guadagni. I ricavi nel primo semestre del 2019 sono un terzo del gruppo con il Mol in positivo per 9 milioni e 5,8 milioni di utile operativo.

Il grande malato ormai da quasi 2 anni è proprio Repubblica/L’Espresso. La gestione industriale è in perdita dal 2018 con il Mol in rosso per 7 milioni su un fatturato annuo di 253 milioni. Anche l’utile operativo ha accusato quell’anno perdite per 13 milioni. E anche il primo semestre del 2019 segna un trend analogo. Il fatturato sui 12 mesi della  ex corazzata del gruppo è sceso di un altro 6% e a livello di utile operativo le perdite nei primi sei mesi del 2019 sono state di oltre 7 milioni. John Elkann dice che non pensa a uno scorporo. Logica vuole che lo spezzatino valorizzando radio e stampa locale e isolando il bubbone Repubblica sia la soluzione più razionale per ridare valore al titolo e coprire così una parte del prezzo, si pensa generoso, che verrà pagato ai De Benedetti.

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