Lavoro, Renzi come Mina: parole, parole, parole...
Di Giovanni Centrella*
Per adesso non si sta smentendo. Matteo Renzi continua ad apparire così come si era presentato al grande pubblico all'indomani della sua candidatura alle primarie del Partito Democratico: parole, parole, parole campate in aria. Prima della sua elezione lo abbiamo sentito parlare di un piano per l'occupazione, di un contratto unico per i neoassunti, distribuendo a piene mani colpe verso pensionati e sindacati. Ora che è diventato il segretario del primo partito italiano ha tirato fuori, facendo credere chissà cosa, il "Job Act", parolona "magica" anglosassone che dovrebbe richiamare ad una riforma epocale del sistema del lavoro in Italia. Una parolona, che nei fatti sa tanto dell'ennesimo "effetto speciale" tirato fuori dal cilindro personale del sindaco di Firenze.
Dando uno sguardo al suo presunto "Act" si trovano proposte generiche, non nuove, lacune, tra le quali le più importanti riguardano le risorse. Renzi non ha spiegato dove pensa di trovare le coperture finanziare per un taglio del 10 per cento del costo dell'energia per le imprese o per un assegno a chiunque perda un posto di lavoro. Oltre ad una futura disillusione, che sarebbe molto pericolosa in tempi di antipolitica, si rischia nell'immediato di generare molta confusione perché tra gli obiettivi e i piani del governo e gli obiettivi e i piani del segretario del Pd, presto non riusciremo più a tenere il conto.
Il segretario del Pd si è distinto anche per una rivoluzionaria presa di posizione sull'articolo 18 sulla spinta delle teorie diffuse dal suo guru in materia economica, Yoram Gutgel, il quale in un'intervista rilasciata a novembre aveva parlato di cancellazione dell'articolo 18 e di un contratto unico per i neoassunti. Che c'è di nuovo in questa proposta? Assolutamente nulla. C'è semmai qualcosa di sorprendente: evidentemente per loro, Renzi e Gutgel, l'articolo 18 non è già stato smontato dalla Fornero. Intanto qualcuno li avvisi che di flessibilità ce n'è a bizzeffe in Italia, al punto da non esserci alcun bisogno di inventarsi un contratto che solo nel nome richiami la presunta tutela dei cosiddetti garantiti, messi ancora una volta contro i non garantiti. Che nella sostanza equivale a mettere i giovani contro i loro genitori e nonni i quali, grazie a quelle ormai sempre più fragili garanzie, ancora li mantengono agli studi o li aiutano ad integrare uno stipendio inadeguato a coprire tante spese.
Eppure è molto strano che Renzi e Gutgel non si siano resi conto che per i licenziamenti individuali l'unica garanzia rimasta è quella dell'illegittimità per discriminazione. A che serve un contratto unico se la nuova tendenza è a vantaggio dei contratti aziendali e a che serve un finto contratto a tempo indeterminato o triennale senza articolo 18 per tre anni, quando abbiamo altre forme contrattuali molto appropriate come l'apprendistato? Renzi ce lo spieghi pure se ha argomenti a supporto.
Non è per la cura dimagrante e nemmeno per gli inviti al rinnovamento rivolti al sindacato - anche questi anacronistici soprattutto verso l'Ugl che da 60 anni professa la partecipazione e che da tempo si è messo in gioco sottoscrivendo accordi innovativi - che il neo segretario del Pd non ci convince. Renzi non è riuscito a convincerci perché in lui e nelle sue ricette, a parte il taglio di capelli, le maniche di camicia, le passeggiate a piedi, le convocazioni alle 7 del mattino, di nuovo nella sostanza non c'è assolutamente nulla.
*Segretario Generale dell'Ugl